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Sanremo 2016: le pagelle finali

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Il Festival di Sanremo è giunto al termine anche quest’anno. Cose che capitano. Ce ne faremo una ragione. Prima di salutarlo definitivamente, non possono mancare le pagelle finali. E allora vai con la musica.

Dolcenera: 8.5. Classe da vendere. Certo, la presentazione di Emis Killa è un cruccio che si porterà a vita. Ma va bé, capita anche ai più grandi. Dolcenera imperatrice del mondo.

Elio e le storie tese: 8,5. Elio è un genio totale e inarrivabile. “Vincere l’odio” è un pezzo costruito come qualcosa che nel repertorio di Elio esiste già (“La canzone mononota” o “Il complesso del primo maggio), ma riesce comunque a risultare diverso e a stravolgere il mondo come lo conosciamo (cit). In fondo, è sempre stata questa la forza degli Elii. Clonateli.

Enrico Ruggeri: 8. La sua voce è una garanzia, e la maniera che ha di interpretare ogni pezzo andrebbe insegnata nelle scuole. Forse il testo migliore dell’edizione. Arriva quarto, ma tra i primi tre ci sarebbe stato bene. Peccato.

Gli Stadio: 7.5. Anche se spesso “bistrattati”, sono una parte importante della storia della musica italiana. Quest’anno, la canzone non era delle migliori del repertorio e Curreri sta via via abbandonando la voce in autostrada (cit). Il primo posto, però, credo sia meritato. Hanno vinto agilmente la serata delle cover con un’interpretazione senza sbavature de “La sera dei Miracoli” di Lucio Dalla e da lì è stato un crescendo. Applausi.

Arisa: 7.5. Tra le certezze del Festival di Sanremo, c’è sempre la voce di Arisa. La senti cantare, ti metti nei panni di Fragola e ti vergogni tantissimo a calcare lo stesso palco.

Annalisa: 7,5. Eleganza nel look e nella voce. Il brano passa in secondo piano (notevole, comunque). Annalisa è un po’ il modo che i talent hanno scelto per chiederci scusa per Scanu, Fragola e altre cose così. Potremmo anche accettarle.

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Noemi: 7. Una delle migliori interpreti del panorama musicale italiano. Alle volte risulta “debole”, ma quando sale in cattedra dà lezioni a buona parte delle sue colleghe. Il pezzo è un esercizio di stile ben riuscito. Zero ritornelli, ma un’atmosfera trascinante e ammaliante. Per i paragoni con le più grandi della musica italiana, però, c’è ancora tempo. La strada è comunque giusta.

Patty Pravo: 7. Stona un po’ (più di un po’), ha perso lo smalto di un tempo e in volto sembra un’imitazione di Virginia Raffaele. Ma rimane sempre una Diva. E come tale, va rispettata. Potrebbe anche non cantare e si approprierebbe comunque della scena. Eleganza rara. Portare Fred De Palma con licenza di devastare “Tutt’al più”, però, è stata una mazzata.

Bluvertigo: 6. Hanno fatto di meglio, ma partecipazione senza infamia e senza lode. Morgan ha ancora voce ed Ego da vendere. Bene così, in fondo.

Clementino: 6. Clementino non c’entra nulla con Sanremo, ma ha scelto di andarci e ce ne fare una ragione. Il pezzo non è granché (il ritornello è una delle cose più brutte che sia mai uscita dalla mente di Clementino), ma nella serata dedicata alle cover ci regala una versione di “Don Raffaé” davvero da applausi. La sufficienza arriva per quello, senza staremmo qui a parlare di un 5 scarso.

Francesca Michielin: 5,5. La voce c’è, il pezzo così così. Anche se credo che la sua colpa più grande rimanga quella porcheria fatta con Fedez (“Fuori e magnifico gne-gne-gne-gné”). Ma poi la senti cantare e in qualche modo ti fa dimenticare quella brutta parentesi della sua carriera. Alla sufficienza non arriva perché le prime due sere ha cantato davvero sottotono. Il look è da rivedere.

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Zero Assoluto: 5.5. Uno dei gruppi che nella mia vita ho odiato come poche cose al mondo. Credo comunque siano migliorati. E sul palco sembrano anche saperci stare.

Irene Fornaciari: 5. Della Fornaciari non si capisce mai se sia brava o meno. Quest’anno è andata meglio delle precedenti apparizioni, comunque. Per la sufficienza, però, c’è tempo.

Neffa: 4. Ha la capacita innata di fare la stessa canzone sempre diversa. E sempre peggio. Come ti sei ridotto, Giovanni.

Rocco Hunt: 3. Il voto è una somma dei voti che gli avrei dato ogni serata. “Wake up” aveva già distrutto gli zebedei due secondi dopo averla iniziata a cantare la prima volta. Come nel 2014 “Nu juorno buono”, del resto. Che però – c’è da dire – non raggiungeva tali picchi di inascoltabilità. “Ed alzasse la mano chi non ha futuro”. Dai Rocco, su ‘sta cazzo di mano e facciamola finita.

Dear Jack: 3. Si presentano con Taribo West (al secolo Leiner Riflessi) al posto del cantante di sempre. E ne guadagnano in simpatia. Musicalmente invece rimangono sempre allo stesso (basso) livello. Speri in una scazzottata sul palco con Bernabei – così, per movimentare un po’ le cose -, ma niente. Peccato.

Valerio Scanu: 1.5. Il pezzo gliel’ha scritto Moro, e sarebbe stato meglio gliel’avesse anche cantato. Ha distrutto pure quel poco di buono che c’era nel testo. Alla fine arriva solo “TUNUNAI”, che non vuol dire un cazzo. Pietà.

Alessio Bernabei: 0. Non ce lo meritavamo. O meglio, forse qualche colpa dobbiamo pur espiarla, nessuno è perfetto. Però, figlio mio, cheppalle. Vuole essere Nek senza essere Nek. Risulta solo un Meneguzzi peggiorato (qualora fosse possibile). Vette rare di inascoltabilità. Fermatelo. Per il suo bene. E soprattutto per il nostro.

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Lorenzo Fragola: 0-. Lo zero meno è un voto che non esiste. Proprio come il talento di Fragola. Il pezzo l’hanno partorito in cinque, ed è una vera schifezza (gergo tecnico, sempre meglio di una parola a caso di “Infinite volte”). Continuo a immaginarli tutti e cinque seduti a un tavolo in un incredibile brainstorming per tirare fuori ‘sta robaccia. Persino Garko avrebbe fatto di meglio. “Scriverti è diventato inutile”. Se a scriverle siete gli stessi cinque autori del brano, bene che vi va vi sputa in un occhio. E v’ha trattato.

Caccamo e Iurato: N.C. Non riesco a dare un voto a st’esperimento sociale. Più che altro perché ho tolto l’audio alla tv ogni volta che me li son trovati davanti. C’è un limite al masochismo, e in genere ne preferisco altri. Per farsi del male ci sono mille altri modi più piacevoli, giuro.

Nota di merito per l’unica e inimitabile Virginia Raffaele. Che spettacolo, ragazzi. Ha vinto tutto con l’imitazione di Carla Fracci e ha vinto tutto di nuovo indossando il vestito di Emma nei panni di Belen. Poster in camera, agile.

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