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“I frutti della Terra” di Hamsun

Siamo nel lontano 1917 quando viene pubblicato Markens Grøde , del futuro premio Nobel del 1920 , Knut Hamsun , scrittore norvegese vissuto a cavallo tra i secoli precedenti il nostro.
Dalla selvaggia terra alla costituzione di un piccolo patrimonio semi-industrializzato, da una vita naturale ad una che si scontra con echi, sempre lontani, dei lussi e dei modi vivendi dell città, dall’amore campestre senza sovvertimenti al dubbio perenne dell’incrociare volti e sguardi diversi. Dall’uomo di terra a quello di metallo, dal cuore incondizionato alla mente sopraffatta da pensieri di cui disconosciamo la reale importanza. Questo, e molto altro ancora, è I Frutti della Terra: opera non sempre compresa, né adeguatamente gustata per via del suo dir aspro, secco, ma che, coscenziosamente meditata, rivela il linguaggio più conforme alla narrazione dei fatti in questione. Lo amerete, lo odierete, ne sarete indifferenti?
Chi lo sa, intanto, eccone un saggio:

«Da generazioni e generazioni, a memoria d’uomo, i suoi, di padre in figlio, avevano seminato grano. Era una sera tranquilla e tiepida, un po’ intrisa di pioggia; le oche selvatiche erano appena migrate.
La coltivazione della patata è una coltivazione moderna, che non ha nulla di mistico, nulla di religioso; si può lasciare la cura di piantarle alle donne e ai bambini; sono straniere, le patate, come il caffè. Certo, esse danno un efficacissimo alimento; ma hanno alcunché del caolo rapa. Invece il grano, è nientemeno che il pane; aver del grano o non averne, significa la vita o la morte.»

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