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«Music means something to you»: Incognito vibranti a Taormina

Vocii allegri e calorosi animano il parterre e le vetuste gradinate del Teatro Antico di Taormina, mentre il palco si tinge d’un blu garbatamente acceso, sospirando il selvaggio groove della british band Incognito, premurosamente avcompagnata dall’organizzazione Catania Jazz , cui va il plauso per aver sapientemente organizzato un evento come questo, appena trascorso, del 17 Luglio.
Spruzzanti raggi di giallo, d’improvviso, calano, e fumo denso insabbia l’atmosfera. Segnali, questi, che preannunciano l’ormai imminente concerto che, di lì a poco, si rivelerà essere uno spettacolare intreccio di musica, umanità e amore.

Fasci verdi fanno da sfondo alla calda voce di Bluey: sincera felicità traspare dagli occhi luccicanti. Quasi pronti al tripudio dei volumi: ma, manca qualcosa; o meglio, qualcuno. «Il batterista è in ritardo: è italiano» scherza Jean Paul Maunick. Ma già fiati poderosi, frizzanti tra le mani di tre saldi scozzesi, James Anderson (sax), Sidney Gauld (tromba) e Nichol Thomson (trombone), saturano l’aria, sostenuti dalle affiancanti percussioni di Joao Caetano.
Si inizia con Expresso Madureira, e si continua con Talking Loud, in cui si percepisce visibilmente la solida funky guitar di Bluey, intrecciata alle profonde sonorità del jamaicano Francis Hylton (basso). È un’esplosione di polifonia Can’t get you out of my head: si intersecano l’intima calorosità di Mo Brandis, la “deep voice” di Katie Hector e l’eleganza smisurata di Vanessa Haynes, «la regina del soul».
Si susseguono Goodbye Yesterday, It’s just one of those things, 1975, Ain’t it time e Good Love in una accalorata stretta di fiati e voci e ritmicità, sostenuti dalle sapienti dita di Mattehw Cooper (tastiere).

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Abbraccia d’inteso e carezza tutti i presenti la celebre Still a friend of mine: Mo invita il pubblico a cantare insieme a loro, e già tutti sono balzati in piedi, quando i musicanti mutano le loro postazioni, e banchettano sfiziosissime sonorità, ciascuno sullo strumento dell’altro. Profonda intesa sprigionano gli sguardi e i sorrisi che si concedono spassionatamente, mentre il groove sale alla calotta celeste, trapunta di stelle.
Strabiliano Joao Caetano e Francesco Mendolia (batteria), in un duetto, potremmo dire, “senza esclusione di colpi”.

Frequenti gli interventi di Bluey, narrante aneddoti del loro vissuto, tra una Parisienne Girl e una Don’t you worry, dell’allegro e magnifico collega Stevie Wonder. Jean Paul racconta della vera essenza della musica, che non è “far soldi” ma, semplicemente, vivere: «quando, a diciott’anni, mi sposai, ricordo che spesi i pochi soldi che avevamo per delle registrazioni; mia moglie, la mia giovane moglie, mi disse, un po’ sconosolata, che non si poteva vivere con le registrazioni. Oggi, viviamo di questo». Si emoziona narrando del suo approccio alla musica: «mio padre, fu mio padre a dirmi di non preoccuparmi della scuola, e di seguire la musica, se davvero mi faceva vibrare il cuore».

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Con Reach Out e Everyday siamo giunti alla fine del concerto. Ma il pubblico, festante, unito, stracolmo d’umanità, non vuole lasciare l’energia di cui il Teatro straripa. Bluey, ha una saggia perla anche in questo caso. Dopo aver speso buone parole su ciascuno dei componenti, ricorda: «questa sera, siamo stati qui, tutti insieme, noi e voi, senza distinzione. Siamo stati qui, per unico motivo: celebrare la vita. È strabiliante come giovani musicisti, che voi avete visto accanto a questo cinquanteseienne, sappiano tirar fuori delle musiche pazzesche. Ricordate, domani sera, quando sarete seduti davanti alla tv, che la vita è una cosa meravigliosa, e che dobbiamo sempre gioirne. Perché, non tutti, hanno la possibilità di vedere la luce del giorno dopo. Tutto quello che abbiamo fatto stasera è stata musica. È stato amore».

E sulle note di One Love di Bob Marley, ancora, in un ultimo caloroso canto, si acquieta la musica. Ma non il sorriso.

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Foto di Antonio Triolo

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