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«Mi, c’è tuma!»: divertimento da musica

Erano nove amici al Conservatorio, che volevano cambiare mondo. Viaggiare verso una dimensione diversa, dove musica e spirito si stringono in un bacio d’intenso. Sonorità dorate di fiati, mani rimbalzanti su pelli ritmanti, sagge bacchette manovranti piatti e rullante, leggiadri scivoli di tastiere, corde stoppate allo sgranar del tempo, carezze di scuro suono, voce squarciantemente tonante. Di chi stiamo parlando? Dei Toomas, ovviamente.

Giuseppe Guerrera (tastiere), Matteo Frisena (tromba), Nicola Caminiti (sassofono), Luca Castognolo (trombone), Roberto Fiore (basso), Andrea Sorrenti (percussioni), Andrea Ferraguto (batteria). Era il 2011 quando, dopo chissà quale ennesima prova, lezione o pomeriggio di studio decisero di incontrarsi, e di suonare, anche al di fuori del conservatorio. Si parte: qualche jam session, miscuglio di sterminate sonorità, musica contemporanea, jazz, funky, e chi più ne ha più ne metta. «Dovremmo mettere su un gruppo». Così, ai sette in cammino, si aggiungono Davide Scimone (chitarra) e Silvia Bruccini (voce). Destinazione: the funk/soul’s groove.
È una strada tortuosa, brillante di mille colori, atmosfere, ricordi, esperienze, che si delinea tra salite e discese, tra sudore e sorrisi. Passione, sconfinato amore per la musica, in tutte le sue forme e, voglia di divertirsi: ecco gli elementi che hanno portato questi giovani musicisti siciliani ad incontrarsi a Messina, terra di studio, di ricerca e, perché no, di aspettative personali. Questo il punto di partenza, questi i dati preliminari: la meta? Le tappe? Beh, tutte ancora da esplorare, da codificare.

Una è la sensazione perpetuamente palpabile: l’energia. Siamo seduti a tavola, dopo una cena rinvigorente. L’atmosfera è prettamente conviviale. L’acqua scorre sui piatti ormai vuotati dalle bontà caserecce appena gustate: aleggia nell’aria il retrogusto della serata, ormai quasi insinuatasi tra le forme della notte. Sorrisi di bimbi che mangiano plasmon, brio da Sambuca Tiburtina: nell’angolo sinistro, forbici incrociate. Ricordi di fumo sospesi e, immensa sinergia. Non è il momento di pensare, no: è il momento di lasciarsi andare, di fare della spontaneità e della genuinità suprema bellezza delle tiepide sere di giugno. Così, tra un corvo gracchiante il suo complesso, lì, in lontananza, Atom Heart Magazine ha il piacere di chiacchierare con delle tinte forti fatte esseri umani.

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Da dove nasce il nome “Toomas”?
Nasce dalla situazione creatasi sin dalla prima prova. Eravamo entusiasti, felici di aver suonato insieme. In catanese, quando una cosa funziona bene, si sviluppa in modo armonico, adornata da un groove amalgamante, si dice «c’è tuma»: abbiamo scomposto la parola, riformandola con due aggettivi, «too»(inglese) e «mas» (spagnolo), aventi entrambi il significato di «troppo». È stato troppo bello, troppo «yeah», troppo ben mescidato. Per dirla in breve: è stato «Toomas».

A proposito di amalgama: il vostro, è un insieme di nove elementi, di età svariate, tutte racchiuse, più o meno, all’interno della stessa generazione: avvertite delle differenze tra di voi?
Tutto sta nel saper stare al proprio posto, ascoltando l’energia dell’altro. Come quando improvvisiamo: ognuno ha la sua parte, ha il suo spazio, e lo rispetta. Così, mettiamo da parte tutte le nostre diversità, piccole e grandi, e ci lanciamo alla scoperta di ciò che davvero ci rende tutti eguali partecipi: la musica.

Il vostro progetto si basa principalmente sulla riproposizione di brani scritti e pensati da altri musicisti: che differenza c’è tra una cover e la rielaborazione di un pezzo? Quale delle due contraddistingue di più il vostro intento?
Assolutamente la seconda: la mera cover, sottosta alla rielaborazione di un brano. Noi estrapoliamo, prendiamo i caratteri principali del pezzo che ci colpisce, carpiamo il progetto originario e lo sviluppiamo secondo il nostro vissuto, aggiungendo particolari che caratterizzano il nostro, personale e collettivo, percorso musicale.

Le vostre sonorità sono calde e spigliate: quali le vostre preferite e i colori a cui le associate?
Sicuramente, ci muoviamo nel solco del funk/soul: è un’esperienza strabiliante, ricca di sensazioni fisiche e sonore. Se pensiamo al soul, ci piace immaginare un color caffè, intenso, che sa di James Brown, Tower of Power.. Il funky, invece, è giallognolo. È sporco, e sa di un bianco che vive, che sente, che accumula, che guadagna, che subisce il tempo, che si sporca.. Ingiallisce, ma.. non si sgretola. E, poi, il viola..

Il viola?
Sì: è il colore che ricollega la musica al cosmo. È una questione di lunghezze d’onda, di frequenze. E, quelle del viola, sono quelle che si avvicinano di più all’unità, alla congruenza tra quello che sentiamo, e quello che suoniamo.

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Cosa più vi piace vedere nel pubblico che vi sta di fronte?
La voglia di ballare. Ci piace immaginare che pensino: «questo gruppo ha tanto groove». Hai mai sentito qualcuno dire: «questo gruppo ha troppo groove.. andiamocene»? No: perché, quando il ritmo ti prende, è davvero difficile separarsene. Noi desideriamo che le persone che siano, lì, in piedi, davanti a noi, abbiano voglia di rimanere, di battere le mani, di sentirsi in un posto in cui la libertà di esprimersi e di comunicare siano inseparabili sorelle. È tutto un dare e un ricevere: più groove, più partecipazione; più partecipazione, più groove.

Un ricordo bello che vi rappresenta al meglio.
C’è stato un momento, non lontano dall’inizio di tutto, in cui abbiamo avvertito la crisi di questo progetto. Volevamo mollare tutto, lasciare perdere. Era passato il piacere di suonare insieme. Ora, invece, per fortuna, è diverso. Abbiamo un obiettivo: creare un sound nostro, fatto di tante influenze e particolari propri, che possa appagarci dal punto di vista non solo musicale, ma anche umano, corredandolo di piccole storie, pillole di vita, stralci di esperienze, raccontate nei testi. Dopo tutto, questo è il modo migliore per essere un vero ensemble: condividere, comunicare, sentire, produrre. In una parola: trovarsi. Proprio com’è accaduto a noi.

Ecco: vi siete trovati quasi tutti nell’ambito del Conservatorio. Per voi, suonare in questa big band, è stata una sorta di valvola di sfogo. Vi sentite imbrigliati, sia come musicisti ma, primariamente, come persone, dal sistema educativo del Conservatorio?
Sì, tanto. Il Conservatorio, lo dice la parola stessa, è il mausoleo della tradizione. Spesso, non c’è spazio per il «diverso»: solo recentemente sono stati isituite delle discipline collegate allo studio del jazz, della musica elettronica, ecc. Però, per ciò che è funky, soul, rock, pop, world music, beh… Tutto questo, manca. Ma noi, essendo che veniamo da diverse parti della Sicilia, viviamo lì, in Conservatorio. E capita che, avendo una, due ore libere, ci incontriamo, e suoniamo un po’. Viaggiamo, con la musica, l’amicizia e il rispetto reciproco. E, d’improvviso, è come se ci ritrovassimo in un mondo nuovo, lontano, in cui suoni, senti, vivi quello che vuoi, e con chi vuoi.

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Il concerto più bello che vorreste fare?
Quello in cui le persone avvertano davvero la musica, si interessino davvero ad essa, e ai modi in cui i musicisti la realizzano. Pensiamo al panorama americano, in cui la gente, all’udire una big band come la nostra, non potrebbe stare un attimo ferma. Qui, invece, si balla, ci si diverte con altro. Se c’è una cosa che vorremmo fare, e per la quale impieghiamo tutti noi stessi, è questa: riuscire a svegliare i cuori, a sbrigliare i piedi, e a coinvolgere le mani. Senza andare lontano, senza abbandonare la nostra terra. Purtroppo, non sono molte le occasioni: ma, non ci perdiamo d’animo. Cerchiamo di sfruttarle al meglio, e ricavarne il maggior numero di emozioni possibili, per crescere e andare avanti. A luglio, avremo l’opportunità di mostrare cosa può dare il nostro modo di suonare: parteciperemo ad un Festival organizzato dalla città di Frosinone, in cui almeno il 50% degli elementi dev’essere studente al conservatorio. Ci sarà tanta musica da camera, tanta musica classica. E poi, ci saremo anche noi: piccola orchestra di groove spumeggiante e sapori inediti.

Su quale frequenza vi sintonizzate mentre suonate tutti insieme?
Su quella del divertimento: altrimenti, non avrebbe senso suonare. Almeno, per noi.

La luna assume la forma di falce, mentre mi affaccio alla finestra. La serata, si è consumata, e una piacevole stanchezza avvolge gli occhi socchiusi. Piccole immagini si riflettono fra i pensieri, mentre la strada di casa scorre, leggera, sotto i piedi: un trombettista che decanta la bellezza della sua musa; il richiamo selvaggio di un vero e proprio troll da tavola; sguardi lustrinati di musicisti in armonica quiete; risa fragorose e ingiustificate; l’importanza di «quello che sta dietro» secondo il backliner/road manager.
Un senso di appagamento e serenità si staglia nella quiete della notte. Mi insegnano questo, i Toomas, in una sera d’inizio estate: non di solo pane vive l’uomo, ma di groove, pasta e birra.

Qui un breve estratto della serata: [youtube]http://youtu.be/l9MX8IcsF8Y[/youtube]

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