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Il giorno in cui Bersani ebbe un rigore a porta vuota, e riuscì a tirarselo in pieno volto

Milena Gabanelli, Gino Strada e Stefano Rodotà. Tre nomi che da Martedì rimbalzavano ovunque. Erano i primi tre classificati alle Quirinarie online del Movimento Cinque Stelle. Tre nomi rispettabilissimi. I primi due erano nomi senza dubbio affascinanti, ma purtroppo poco adatti a presiedere il Quirinale. E, infatti, hanno rifiutato la proposta. Il terzo, Stefano Rodotà, ha invece accettato di buon grado. Così, il Pd si è trovato davanti a un bivio: accettare il candidato del Movimento Cinque Stelle, oppure cercare l’accordo con il Pdl su un nome che avrebbe incontrato i gusti e le esigenze del centrodestra. In sintesi: provare a salvare il Paese, o provare a salvare Berlusconi.

Bersani si è ritrovato a tirare un rigore a porta vuota. E se l’è tirato in pieno volto. Ha scelto la seconda opzione, proponendo al leader del centrodestra una rosa di tre nomi da brivido: Amato, D’Alema e Marini. Mossa poi smentita dai vertici del Pd. In serata, comunque, Bersani ha eliminato ogni dubbio ufficializzando la candidatura di Franco Marini. A tempo record, è arrivata anche la benedizione di Silvio Berlusconi: “Stimo Marini, è una soluzione positiva”. Kaboom.

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A questo punto, il Pd si è allegramente spaccato. Il partito si è riunito al Teatro Capranica per discutere l’insana proposta del segretario. Tra chi proponeva di internarlo e chi di venderlo al Pdl, quattro sono le reazioni da segnalare. Quella di Matteo Renzi, che ormai con Bersani (e altri trequarti del Pd) ci litiga un giorno sì e l’altro pure: “Votare Franco Marini oggi significa fare un dispetto al Paese”. Quella di Nichi Vendola: “Noi voteremo Rodotà”. Quella di un rassegnato Pippo Civati: “Le cose si stanno mettendo male”.  E, infine, quella del compagno Tabacci: ha optato per abbandonare l’assemblea, senza rilasciare dichiarazioni, più confuso che persuaso. In ogni caso, la proposta di Bersani di candidare Franco Marini al Quirinale è stata approvata per alzata di mano: 222 i voti favorevoli, 90 quelli contrari e 21 gli astenuti. Applausi.

In sostanza, tutte le volte che il Pd ha l’occasione di tirare fuori gli attributi e prendersi delle responsabilità, non lo fa. Nel Novembre 2011 ha avuto l’occasione di seppellire Berlusconi e compagni andando alle urne, e invece ha preferito rinunciare, spianando la strada a Monti e alla resurrezione politica a suo modo epica del Cavaliere. A Febbraio, ha avuto la vittoria delle elezioni in pungo, e invece ha preferito non fare campagna elettorale permettendo al centrodestra di recuperare indisturbato elettori su elettori e al Movimento Cinque Stelle di ingrandire a dismisura il proprio bacino elettorale. Adesso, doveva scegliere da che parte stare: Rodotà (e quindi provare a intavolare una trattativa con il Movimento Cinque Stelle) o Marini (e quindi optare per l’inciucio con il Pdl). Ha scelto, come sempre, la parte sbagliata. Non c’è speranza.

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P.S. Il suicidio del Pd potrebbe anche non interessarci molto (sinceramente parlando: sticazzi), se non per dovere di cronaca. Il problema è che di mezzo c’è anche l’Italia. Con questa mossa, Bersani non rischia di mandare allo sfascio solo il suo partito, ma il Paese intero. E no, non ne abbiamo proprio bisogno.

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