Un fulmine a ciel sereno. È arrivata così, tramite Facebook, la notizia della fuoriuscita di Luigi Zingales (rinomato economista e professore presso la University of Chicago Booth School of Business) da Fare per Fermare il Declino, il movimento capitanato da Oscar Giannino che vede lo stesso Zingales fra i principali promotori. La motivazione? Oscar ha mentito sul suo curriculum. L’accusa è pesante e le conseguenze potrebbero esserlo ancor di più, quindi cerchiamo di ricostruire come sono andate le cose.
Qualche giorno fa, più precisamente il 5 Febbraio, Giannino va a Repubblica e rilascia un’intervista video. Proprio all’inizio di tale intervista, dice che il suo movimento è stato fondato con la collaborazione di economisti che insegnano all’estero in prestigiose cattedre, come Luigi Zingales che insegna a Chicago, “dove ho preso il master”. E qui sta la bugia: Giannino, quel master a Chicago, non l’ha mai preso, eppure tali credenziali comparivano anche sulla sua biografia (che è stata prontamente modificata) presso l’Istituto Bruno Leoni di cui è Senior Fellow. Non solo, sulla sua pagina di Wikipedia si discuteva già da un paio di anni sull’effettivo conseguimento da parte di Giannino di quel diploma in Corporate Finance e Public Finance.
Qualcuno – lo staff? – si accorge dello sbaglio e invita Giannino a correggersi. Il 17 Febbraio, il giornalista e candidato premier rilascia una dichiarazione all’Ansa, nella quale afferma di non aver mai conseguito il master e di essere andato a Chicago nel ’94-’95 per un corso di inglese. La storia poteva anche concludersi qua, pur non essendo stata chiarita fino in fondo, ma il giorno dopo Zingales decide di scagliare la pietra – o meglio, tutta la montagna – contro l’amico e compagno di partito (pur affermando che voterà comunque Fare). Perché un gesto così a soli quattro giorni dal voto? Nemmeno Giannino riesce a spiegarselo, e intanto – fra un’ospitata televisiva e l’altra per cercare di chiarire la situazione – indice per domani una riunione di direzione per decidere sul da farsi (e fra le opzioni non si escludono le dimissioni di Giannino stesso).
Le reazioni non sono tardate ad arrivare e, oltre alla delusione dei militanti, sono iniziate a piovere le velenose invettive dei cosiddetti moderati di area montiana e berlusconiana, nonché il solito linciaggio da parte degli illustri garantisti (a fasi alterne, a quanto pare) di Libero e Il Giornale, che dedicano alla querelle le rispettive prime pagine di oggi, con tanto di intercettazioni prive di qualsiasi rilevanza penale. Come mai tutto questo rumore per un partito che – sempre secondo i suoi detrattori – non arriverà nemmeno a superare la soglia di sbarramento alla Camera?
Non voglio formulare ipotesi di complotto, quelle lasciamole a grillini e Modà, e sono convinta dell’onestà intellettuale di Zingales (va bene che in Italia la falsificazione di curriculum è quasi uno sport nazionale, ma sappiamo benissimo che all’estero ci si dimette da cariche molto più alte per molto meno). Il problema, secondo me, risiede nella natura stessa della dottrina liberale pura, della quale Giannino e Zingales si fanno portavoce, profondamente individualista e che quindi fatica ad adattarsi alle dinamiche di un partito, grande o piccolo che sia. La fede di Zingales nella verità e nella trasparenza, sulla quale io nutro davvero pochi dubbi, l’ha portato a dimenticare che Fare è fatto soprattutto da tante, tantissime persone che hanno messo le proprie risorse intellettuali (e spesso finanziare) a disposizione di un’idea comune, che credevano (e alcuni, come me, ci sperano ancora) in una piccola rivoluzione per cominciare un grande processo di normalizzazione del Paese. E invece si andrà verso l’ennesima scissione (quando, forse, una coalizione tra FiD, Radicali e Partito Liberale Italiano avrebbe portato ad un risultato storico) e, probabilmente, verso l’ennesima sconfitta in nome del sacro individualismo, croce e delizia del pensiero liberale.