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SPECTRE, la recensione

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Dopo il grande successo di pubblico e critica avuto nel 2012 con Skyfall, l’agente segreto con licenza di uccidere torna nel ventiquattresimo film della saga.

Spectre chiude l’era di Sam Mendes (che ha diretto gli ultimi due film) e tira le fila delle precedenti tre avventure di James Bond, svelando una diabolica regia comune dietro gli avvenimenti di Casino Royale, Quantum of SolaceSkyfall. L’organizzazione-ombra che attenta alla vita di 007 e di chi gli sta vicino non è nient’altro che la SPECTRE, la più famosa organizzazione criminale della saga letteraria creata da Ian Fleming, che i fan del Bond cinematografico hanno imparato a conoscere fin dal primo film del 1962, Agente 007 – Licenza di uccidere. 

tumblr_nxjplk0IGG1qiua3mo1_500Il film si apre con un bellissimo piano-sequenza ambientato durante il Día de Muertos a Città del Messico, che dimostra tutta la bravura di Mendes dietro la macchina da presa, uno dei punti di forza assieme alla fotografia tenue e fumosa di Hoyte van Hoytema (Interstellar, Her), e che alza alle stelle le aspettative per il resto della pellicola. Quello che succede, invece, è un susseguirsi anticlimatico di sequenze d’azione e svolgimento della trama che diventa sempre meno interessante mano a mano che il film va avanti; a cominciare dai titoli di testa, accompagnati dalla melensa (ma non così terribile e in fin dei conti adatta) ballad Writing’s On The Wall di Sam Smith, che per primi ci danno il senso di “finale” mostrandoci flashback dei precedenti capitoli e l’ombra della piovra (simbolo della SPECTRE) dietro tutto.

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Dopo la capatina messicana si torna a Londra, dove ritroviamo il nuovo (Ralph Fiennes) alle prese con il nuovo capo dei servizi congiunti (interpretato da Andrew Scott, il Moriarty di Sherlock), che vorrebbe cancellare il programma 00 (quello che da agli agenti come Bond la licenza di uccidere) e dare inizio a un programma di sorveglianza mondiale. Questa trama – di sconcertante attualità – si andrà inevitabilmente a intrecciare con quella dell’organizzazione criminale che 007 sta tentando di scovare, in un susseguirsi di colpi di scena abbastanza prevedibili ma ben resi. Presto emerge la figura di Franz Oberhauser (interpretato dal solito Christoph Waltz che rischia di fossilizzarsi in ruoli da supercattivo), capo della SPECTRE, che sembra condividere un legame molto profondo con James Bond.

L’esperimento di Mendes di creare un Bond postmoderno – una reinvenzione del personaggio colma però di riferimenti al passato – che aveva funzionato molto bene nel capitolo precedente, in Spectre si riduce a un continuo gioco di citazioni e di strizzatine d’occhio che diverte ma finisce per impoverire l’opera finale, complice anche una sceneggiatura ridotta all’osso e piena di cliché. Le interpretazioni sono perlopiù ottime, dall’ormai rodato Daniel Craig (in forse la sua partecipazione al prossimo film, ma i produttori assicurano che ci sarà) a Ben Whishaw nei panni del fidato (i siparietti fra lui e Bond sono fra le cose migliori del film), alla splendida Léa Seydoux un po’ sacrificata nei panni di un personaggio così piatto come quello di Madeleine Swann (nonostante il tentativo iniziale di renderla diversa, alla fine ricade miseramente nello stereotipo della Bond girl); la tanto osannata partecipazione di Monica Bellucci si riduce a pochi minuti di presenza sullo schermo (un po’ come accadde per la connazionale Caterina Murino in Casino Royale), resi quasi insostenibili dalla decisione dell’attrice di doppiarsi da sola.

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In conclusione, Spectre è il classico film di James Bond, saga che di certo non abbiamo imparato ad amare per la complessità della trama o per l’approfondimento psicologico dei personaggi, ma forse i capitoli precedenti ci avevano illusi ad aspettarci qualcosa di più.

Voto: 6 ½

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