È ormai assodato il ritorno sulla scena europea della celeberrima band blackpoolese, nota con l’ultimo nome con il quale i componenti si sono fatti chiamare, ovvero, Jethro Tull.
Ebbene, sì. Pensate che, ai primordi del loro viaggio musicale, anche i superJethro hanno avuto un periodo di buia inesperienza: presentandosi nei locali della vecchia Inghilterra per offrire ai topini la loro musica, erano costretti a cambiare ogni volta nome della band, poiché i gestori dei locali non avevano alcuna voglia di sentire continue lamentele da parte dei clienti sulle brutte e grezze melodie che i musicanti propinavano con tanto, seppur incompreso, ardore. Ma, accadde così che, una sera, finalmente andò bene: nessuna lamentela, la gente era divertita, affascinata da quella musica che scoppiettava di novità. Il gestore del locale, entusiasta, chiese ai soddisfatti e stanchi menestrelli di esibirsi ancora, in futuro. E così, i Jethro Tull di quella sera, rimasero i Jethro Tull di sempre.
Sarebbe davvero limitante etichettare come “gruppo Prog” questa band, la quale ha cambiato tanti attori sulla scena; fatto sicuramente straordinario e innovativo, che ha portato ad un mai banale e ritrito e stanco tono musicale. La nuova linfa, ammaestrata dalle sottili dita dello storico fondatore Ian Anderson, e filata
Il “pifferaio magico” Ian Andersondal quasi onnipresente chitarrista Martin Barre e dall’instancabile batterista, dal 1984, Doane Perry, ha garantito alla formazione inglese una stabilità e una produzione artistica varia e sempre rigenerante. Dal jazz-blues, all’art-rock, passando per l’hard-rock, il folk-rock e il synthpop, i musicanti di Blackpool (e affiliati) hanno generato insormontabili capovolari come “Aqualung” (1971), “Thick as a brick” (1972), “Ministrel in the Gallery” (1975), “Song from the wood” (1977), “Heavy horses” (1978), “Creast of a knave” (1987); e questi, solo per citarne alcuni!
La vecchia e rinomata band ipersperimentale sta trascorrendo il 2012, quarantesimo anno dall’uscita di “Thick as a brick“, in giro per l’Europa, riproponendo questa pietra miliare degli anni ’70 alle nuove generazioni che, in quanto a musica, e non solo, stanno vivendo decenni oscuri, e ai vecchi appassionati che hanno sognato e sentito profondamente su quel susseguirsi sicuro di note.
Vero e proprio concept album, esasperato dallo stesso Anderson nella composizione di un unico brano, “Thick as a brick” narra di un fantomatico bambino prodigio, Gerald Bostock, autore dei testi che ascoltiamo, della cui carriera e premiazione il concept parla, presentando un similarticolo del “St. Cleve Chronicle” del 7/01/1972.
Dopo Frederiksberg (Danimarca), sul territorio italiano i Tull saranno il 30/11 a Padova, il 2/12 a Lucca, il 3/12 a Roma e il 4/12 a Modena. Eseguiranno: Thick as a brick part 1 Thick as a brick part 2 From A Pebble Thrown Medley: Pebbles Instrumental / Might-Have-Beens” Medley: Upper Sixth Loan Shark / Banker Bets, Banker Wins Swing it far Adrift and Dumbfounded Old School Song Wootton Bassett Town Medley: Power and Spirit / Give Till It Hurts Medley: Cosy Corner / Shunt and Shuffle A Change of Horses Confessional Kismet In Suburbia What-ifs, Maybes And Might-have-beens (La scaletta potrebbe subire variazioni da parete dell’artista).
Rimaneggiamento della copertina dell’album in occasione del tourInsomma, una splendida occasione per rivivere suoni plurisfaccettati e risonanti di musiche lontane. Per chi non potesse andare, esistono i veri e cari CDs o vinili registrati in ottima qualità. Ma, rimanere estasiati, ammaliati, travolti da melodie eseguite da mani accorte e veloci e sguardi ritmati, beh: quella, è un’altra storia.