Con il disco Che bello essere noi sono arrivati dritti al secondo posto in classifica e ora li attende un lungo tour. In un’intervista esclusiva Jake, Gue e Don Joe ci hanno parlato dell’album, dell’hip hop e, a scanso di equivoci, di cocaina
Un disco diretto al secondo posto nella classifica delle vendite. Un tour che parte il 15 novembre dall’Alcatraz di Milano e che toccherà mezza Italia. Insomma, di motivi per dire “Che bello essere noi”, come il titolo del loro album, i Club Dogo ne hanno parecchi. Ma ancora di più sono quelli per dire che è bello non essere come gli altri. Quali altri? Ce lo hanno spiegato Jake la Furia, Gue Pequeno e Don Joe in un’intervista esclusiva.
Partiamo dal titolo, Che bello essere noi…
Jake la Furia: È un gioco, una provocazione per dire che è bello essere noi perché non siamo come quegli altri che devono ricorrere a compromessi o adeguarsi per riuscire ad avere successo.
Gue Pequeno: Soprattutto in un momento in cui ci sono personaggi trash nella musica, nello spettacolo o anche nella politica… se questi sono gli altri, che bello essere noi!
Il vostro disco ha esordito al secondo posto: un indizio di buona salute dell’hip hop italiano o è solo merito vostro?
Jake: Tutte e due le cose. Sicuramente c’è una botta dell’hip hop italiano, visto che noi siamo in classifica, Fabri Fibra è in classifica, Marracash è entrato in classifica, ci sono anche gruppi underground che stanno spaccando e la gente va a vedere i concerti. E questo è anche un po’ merito nostro perché cantiamo cose difficili da portare nel mainstream, ma abbiamo trovato una formula per continuare a fare la nostra musica e arrivare in alto.
Gue: È anche un riconoscimento, perché significa che non arriviamo solo alla cerchia stretta dell’hip hop, ma a tutti quanti.
E a quelli che sostengono che l’hip hop per entrare in classifica si è svenduto, cosa rispondete?
Gue: Succede in tutti gli ambiti e in tutti i generi musicali. Non è una critica alla musica, ma al successo in se stesso. Capita anche nel rock alternativo che è un altro genere che viene dall’underground, per dire… È vero che nell’hip hop avviene in maniera particolare, perché si ha l’idea che la major sia il male, qualcosa che riempie di soldi l’artista e lo obbliga a fare cose, ma non è così che funziona.
Don Joe: Non ha senso dire queste cose a maggior ragione per un gruppo come il nostro che è partito da zero, non è un progetto pensato a tavolino.
Passando al disco, come avete scelto gli artisti per i featuring, dai Co’ Sang a Marracash?
Gue: La decisione è stata abbastanza ragionata, abbiamo pensato di chiamare quelli che per noi sono i rappresentanti dell’hip hop più validi. A tutti i livelli, da rapper molto duri come Noyz Narcos a uno come Entics che fa un hip hop un po’ reggae e che è uno molto in crescita. Ci siamo comunque mantenuti nell’ambiente hip hop, cercando di chiamare i nomi un po’ più freschi. Con J Ax poi avevamo già fatto un pezzo nel disco precedente e non volevamo che richiamarlo apparisse forzato.
Spaziando con la fantasia, chi vorreste come feat per un vostro prossimo album?
Gue: Ci sono distinzioni da fare. Ognuno ha la sua musica e artisti preferiti, per cui magari c’è la collaborazione fantascientifica con un musicista che ti piace tantissimo, ma poi magari non porta niente all’album.
Jake: Un sogno senza pensare a niente, potrebbe essere Lil’ Wayne… ma non avrebbe molto senso.
Di giovani promesse ne vedete, nel rap italiano?
Gue: Ci sono molto artisti bravi, ma il ricambio generazionale non è molto veloce e questo rispecchia come vanno le cose in Italia, dalla politica alla musica. Ma qualcosa si muove, c’è gente come Emis Killa, uno molto giovane che è criticatissimo, il che è un buon segnale di bravura. Se lui fosse stato in Francia o in Germania avrebbe già bruciato le tappe, mentre invece qua dovrà affrontare molti più ostacoli.
Una parte del vostro successo deriva anche dal fatto che siete riusciti a circondarvi di una crew, la Dogo Gang, che per organizzazione non ha pari in Italia?
Jake: Anche, quello fa un po’ parte del marketing del gruppo, accresce la leggenda. Parte del nostro successo viene da quello e parte del loro viene da noi.
Gue: Il concetto della crew, della famiglia nell’hip hop c’è in tutta Europa e nel mondo. Ma noi non l’abbiamo fatto per copiare, lo abbiamo fatto perché tutti questi sono effettivamente nostri amici e noi abbiamo istituzionalizzato questa amicizia.
Nel disco ci sono aperture all’elettronica e alla dance…
Jake: Ci viene naturale perché comunque noi non ascoltiamo solo hip hop. Io la techno l’ho sempre ascoltata, già da prima del rap. Ascoltiamo anche tanto reggae… tutta la musica.
Don Joe: Sperimentiamo di continuo, magari in passato abbiamo strizzato l’occhio al rock e in questo disco l’abbiamo fatto con la dance o la gabber.
Jake: Poi essendo un po’ tarri dentro un po’ di elettronica ci sta. Il suono si deve evolvere, non può rimanere sempre quello della golden age dell’hip hop, campionato dal soul o dal funk.
Parliamo dei singoli brani: Per la gente è una sorta di omaggio al vostro pubblico…
Jake: È una dedica che è davvero sincera perché comunque il nostro successo viene dalla gente: se il disco è entrato secondo in classifica senza radio e televisione e soltanto perché ci sostengono i nostri fan.
C’è invece anche una vera e propria canzone d’amore dedicata a una marca di scarpe, Nuove Nike…
Jake: Sì, innanzitutto chiariamo una cosa: il pezzo lo abbiamo fatto perché effettivamente siamo dei fanatici della Nike, non ci hanno dato niente in cambio. Noi abbiamo svariati paia di Nike, tutti e tre, e allora ci piaceva fare questa cosa.
Per finire, vi va di spiegare un pezzo che a prescindere dal suo effettivo contenuto genererà controversie, ossia Cocaina [guarda il video]?
Jake: Senza ipocrisie, la cocaina ha fatto parte della nostra esistenza. Ci siamo esauriti l’argomento in un solo pezzo del disco, perché poi non è che se ne parli molto, comunque nasce perché Joe aveva prodotto una base campionando un pezzo trance che diceva “This is cocaine” e noi abbiamo colto la palla al balzo per scrivere il testo. Il pezzo e il video non sono fraintendibili, anche se i più accaniti tendono a fraintendere lo stesso. Anche se facessi un disco in cui dico quanto è buono il Papa, mi accuserebbero di bestemmiare. È un pezzo contro, che assieme al video descrive un incubo. Noi parliamo della coca perché fa parte della nostra società, ma questo non vuol dire promuovere la coca.