Una storia d’amore raccontata fase per fase, come il più classico dei romanzi. Inizio, svolgimento, fine. Sembra semplice, ma in realtà non lo è. Perché “In un baule di personalità multiple” è un concentrato di emozioni. Una per ogni pezzo. Dieci, per l’esattezza.
Le emozioni, quindi, il modo migliore per descrivere un amore. Poi ovvio, ogni storia può avere un lieto fine o una fine drammatica. Alcune nemmeno iniziano. Altre iniziano e sono giù finite. Sfumature, queste, tutte presenti nel nuovo album dei Blumosso.
“In un baule di personalità multiple” è un concept album, la cui trama è un amore che inizia speranzoso (In un albergo di Milano) – come tutti, del resto –, che si evolve quasi inaspettatamente e magicamente (Il giorno che ti ho incontrato), ma che poi finisce nel momento in cui il protagonista si accorge che la “Lei” dalle sembianze angeliche immaginata fino a quel momento è solo frutto di un’idealizzazione della stessa (Non eri un angelo). Magia, delusione e quel dolore lasciato da un amore appena trovato eppure già perduto. Perdersi subito dopo essersi trovati, o aver immaginato di farlo.
Ogni attimo viene scandito da una tracklist scorrevole, che ci porta quasi a immedesimarci in chi narra, facendo nostre le sue emozioni e quella rabbia, netta conseguenza della disillusione di chi – nell’enfasi del momento – aveva creduto di aver trovato quell’amore tanto anelato. Allo stesso tempo, però, ci lascia con la speranza che – proprio quello stesso amore – esiste per tutti e, prima o poi, arriverà.
Rompiamo il ghiaccio con la più classica delle domande: perché il nome Blumosso?
La parola è un neologismo: l’ho inventata io, inserendola in una mia poesia, per dare una denominazione al colore del mare quando è in tempesta. Nel momento in cui c’è stato da scegliere il nome da dare a questo progetto; ragionando sulle canzoni – nella maggior parte dei casi inerenti al quotidiano, ai tumulti interiori di ognuno di noi – ho pensato fosse il nome giusto.
Quando e dove si formano i Blumosso?
Ho iniziato a pensare al progetto nel 2016, perché volevo tirare una linea di separazione tra quello che avevo prodotto in passato, e ciò che avrei voluto fare da quel momento in avanti. Poi nell’inverno del 2018 si è formata la band. A “Bemolle” e “RafQu”, miei amici inseparabili da anni, si è unito Roberto Fedele, batterista; con lui si è creato legame e forte intesa dalla prima prova. Da allora abbiamo iniziato a provare, ad arrangiare le canzoni che io scrivevo, e non ci siamo più fermati.
Nel panorama musicale moderno è difficile distinguersi ed essere riconoscibili. Ormai tutti fanno tutto, finendo per suonare come la copia di mille riassunti (cit). Nella vostra musica, al contrario, noto un “marchio” bene definito che vi rende “unici” e riconoscibili. È un pop con sfumature indie che funziona davvero bene. Però, la mia domanda è: voi come vi definireste e in quale “genere” inserireste la vostra musica?
Blumosso è un progetto pop. Non mi vergogno a definire la nostra musica tale, e appartenente a questo genere per anni stigmatizzato.
Spendo due parole, nel mio intento obiettive e senza criticare nessuno: non prendiamoci in giro, quello che tutti, oggi, chiamiamo “Indie”, in realtà è pop. Si è solo trovato un nuovo nome a un genere che abbiamo sempre tutti ascoltato, ma allo stesso tempo, denigrato. Ora tutti possiamo ascoltare il pop, che è divento l’indie, senza paura di essere presi in giro da qualcuno.
PS: grazie per “Unici e riconoscibili”, è una “riflessione” molto gradita.
Spesso, la parte più difficile nella creazione di un album è quella relativa alla scelta del nome. “In un baule di personalità multiple” è senz’altro un titolo che mette curiosità già solo a leggerlo. Com’è nato e cosa significa?
Sapevo di dover chiamare così l’album prima ancora di iniziare le sessioni di registrazione delle canzoni. Il baule di personalità multiple è un riferimento (per chi ne è a conoscenza chiaro) al poeta portoghese Fernando Pessoa. Il disco, se ascoltato in ordine di brano, racconta, fase per fase, la cronaca di una storia d’amore. Molti hanno inteso la storia abbia un lieto fine. In realtà la storia finisce male, e l’ultimo brano è solo un inno alla speranza, la speranza di chi crede ci sia sempre un amore in serbo, anche per il più disilluso degli esseri umani. Il baule è quel posto, dentro di noi, in cui custodiamo tutte quelle sfumature, nostre, che non sappiamo di avere (da qui il concetto di personalità multiple – quando amiamo, ci scopriamo individui altri), e che tiriamo fuori solo nel momento in cui ci si innamora, per poi ricustodirle lì, nel baule, quando qualcosa finisce.
“Non eri un angelo” è forse il testo più disincantato del disco. Una sorta di “Odi et amo” che, però, prende di mira l’idealizzazione di una persona piuttosto che la l’individuo in sé. Ci innamoriamo di qualcuno che esiste solo nella nostra mente, ma quando lo capiamo è difficile abbandonare quell’idea di lei\lui pur non amando (forse) più quella persona. Quanto c’è di autobiografico in questo brano?
La ragazza per cui ho scritto questa canzone esiste davvero. Ha occupato molti dei miei pensieri per anni.
“Il giorno che ti ho incontrato” è il pezzo che mi è rimasto più impresso dell’album e che continuo ad ascoltare in loop. “Lei che combatteva la sua guerra solitaria di cui nessuno sa niente”. La più scontata delle domande è chiedere chi sia questa “Lei” e, quindi, se la protagonista di tutto il concept album esista davvero, oppure si tratti semplicemente di un amore immaginario.
Ho scritto le canzoni di questo disco in fasi diverse del mio percorso. Diciamo che la più “Vecchia” è “In un albergo di Milano” scritta nel 2015. A disco concluso, ragionando sulle canzoni che avevo registrato con la band, mi sono accorto che, messe in un certo modo, raccontavano, come ho già spiegato, le varie fasi di un amore.
In sincerità vi confido che le canzoni di questo disco sono dedicate a due persone diverse, una nel bene (ed è la “lei” alla quale facevi riferimento tu), una nel male, anzi nel “maldamore”.
Ok, vi ho detto il mio pezzo preferito. Adesso tocca a voi che li avete scritti tutti. Sceglietene uno, quello a cui siete più legati, e spiegateci il perché.
Ok. Alle domande sto rispondendo io (Simone), ma conosco i gusti dei miei amici, quindi posso dire che la mia preferita è “Irmã cara” (Anche se, scrivendole io, in realtà non ho una vera preferenza), quella di Bemolle è “All’ultimo secondo”, quella di RafQu e Roberto è la stessa: “Piovere”.
Siamo giunti al termine. Nel salutarvi e ringraziarvi per il tempo che avete concesso a me e ai lettori di Atom Heart Magazine, vi lascio l’ultimo spazio per linkare i vostri contatti sui vari social network e tutto ciò che occorre per rimanere in contatto con voi e la vostra musica?
Siamo molto attivi (ma con regola) su Instagram; lo stesso su Facebook. Abbiamo anche un canale Youtube (Blumosso Musica) dove potrete trovare i nostri videoclip ufficiali.
Alle domande ha risposto Simone Perrone, voce dei Blumosso, che ringrazio.