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“Stavamo a scuola insieme e ci annoiavamo molto!”: genesi e prosieguo dei Granada Circus

 Cosa può fare l’alternative rock? Cosa può regalare il tempo che scorre, mentre braccia sognanti sostengono strumenti, e musica fuoriesce da voci, corde e dita? Dove finiscono tutte le note che ascoltiamo, che assaporiamo, che respiriamo? I Granada Circus, dalle strade di Roma, sembrano ben saperlo. Mi imbatto nell’attento ascolto del loro omonimo album. Non solo brani con testi accompagnati da un canto personale, intimo, recondito, ma anche trascinanti strumentali. “Sbacchettiate” su raid, basso corposo, fuzz scartavetranti,  delay sgrassatori e melodie d’accordi minori fanno scivolare giù ogni pensiero. Reap the whirlwind chiude il cerchio; o meglio, il circus. Un cerchio che è miscela e collage di infinite influenze, di meditate impressioni, di temprate situazioni, ora codificate in forma d’armonia.

Alessandro  “Dave” (chitarra e cori),  Milo (voce e chitarra) , Federico “Bue” (basso) e  Stefano “Frank” (batteria) hanno raccontato ad Atom Heart Magazine scatti della loro vita musicale, del loro progetto comune, della loro voglia di suonare. Noi, siamo lietissimi di narrarle, e qui riportarle.

Un groove fortemente melodico, ritmico, che oscilla tra lo strumentale e la forza delle parole: a quale tipo di sound aspirate?
Noi puntiamo ad un sound nostro: è presuntuoso voler creare un nuovo sound con due chitarre, un basso ed una batteria; infatti, si sentono molte influenze nei nostri brani, e troviamo dei richiami che vanno dal funk, al postrock, al moderno indie pop. Crediamo che si crei qualcosa di “nuovo” miscelando le nostre quattro singole particolarità insieme.

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Qual è la sensazione principale che trasmettete attraverso i vostri brani?
C’è una grande differenza tra disco e live. Nel primo caso, i pezzi possono trasmettere sensazioni diverse, anche contrastanti tra loro. Dal vivo, invece, cerchiamo di trasmettere l’energia del momento: quello che proviamo sul palco, lo vogliamo restituire alle persone che ci guardano.

Lo scopo personale e collettivo che vorreste raggiungere.
Sicuramente continuare a tirare fuori quello che abbiamo dentro, poterci esprimere in contesti sempre interessanti e continuare ad avere la possibilità di rapportarci con le persone attraverso la nostra musica.

Inglese e italiano sono le lingue scelte per veicolare i vostri messaggi: c’è una ragione particolare dietro questa predilezione linguistica?
Abbiamo cominciato scrivendo canzoni in lingua inglese per una questione di semplicità: è un po’ un controsenso, ma è stato proprio così! Poi, prima di approdare definitivamente all’italiano, siamo passati attraverso una fase in cui i brani erano esclusivamente strumentali.

Quasi sempre, al loro interno, le armonie contengono un tono malinconico: è solo una sensazione, oppure c’è del vero?
C’è del vero.. Ma stiamo virando verso composizioni più cariche, più ballabili e più allegre!

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Raccontateci l’origine del vostro progetto: com’è vi siete trovati?
Stavamo a scuola insieme e ci annoiavamo molto!

Prossimi obiettivi?
Crescere, sicuramente; sperando di non dimenticare mai chi siamo. Poi, trovare qualcuno che si appassioni al nostro progetto e che ci possa aiutare ad arrivare ad un pubblico più ampio.

Chiudiamo con una domanda, sì di routine, ma mai banale: quale influenze hanno contribuito alla formazione del vostro stile?
Alla base, ci sono i grandi gruppi che ognuno di noi ha amato, anche se, ultimamente, siamo molto attenti alla scena indipendente italiana, anche la più “sommersa”, dove si trovano cose molto interessanti, rappresentanti di una realtà vera e non compromessa.
Mentre scrivo, ascolto Rain, Country, K2, . . E, Chiudo così, con un punto. Che non è fermezza, vuoto silenzio, ma accoccolato raccoglimento.

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