Siamo arrivati alla finale di Sanremo 2022. Anche per quest’anno, il nostro l’abbiamo fatto. Qui sotto i voti. Ciao ciao (cit).

Matteo Romano: 3. Il mondo non aveva bisogno né di TikTok, né di ‘sta canzoncina.
Giusy Ferreri. 5. Miele è un po’ la classica canzone di Sanremo che al terzo ascolto migliora. Il problema è che dal quarto già ti ha rotto un pelo le palle. Lei e quella dannata trombettina.
Rkomi: 5. Lui è tutto ciò che a Sanremo non c’entra nulla. Che, se ci pensiamo bene bene bene, è anche una cosa buona per lui. Ammette di non prendere tutte le note. E in effetti in 5 serate forse ne ha presa una sola. Però, in generale, Rkomi non è quello visto a Sanremo in questa settimana. Ha pezzi validi, altri meno. Non è Freddy Mercury, intendiamoci. Ma neanche Trucebaldazzi, per dire.
Iva Zanicchi: 6,5. La sua è una di quelle canzoni che non riascolterò più nella vita, ma questo conta poco. Per capacità vocali, la Zanicchi non si discute. Una delle poche artiste presenti in gara a saper, davvero, cantare.
Aka 7even: 2. Vorrei solo dimenticare, grazie. E anche alla svelta.
Massimo Ranieri: 5. La canzone è oggettivamente molto bella. Infatti vince il premio della critica. Lui, invece, non è stato per niente in forma.
Noemi: 7. Una delle migliori quest’anno, come spesso le capita, e anche per distacco.
Fabrizio Moro: 6. Il problema di Moro è che il pezzo non pare originalissimo. Ma volendo è il suo problema de sempre. Perché tutte le volte che lo ascolti hai perennemente l’impressione che l’abbia già cantato in precedenza. Però, tutto sommato, la sufficienza alla fine delle cinque serate la merita.
Dargen D’Amico: 7,5. Se aprite un vocabolario qualsiasi, alla voce “cazzaro” ci trovate una foto di Jacopo con i suoi occhiali da sole. È un cazzaro totale, ma di quelli che fanno bene alla società. Un talento unico nel suo genere, di cui – di fatto – è capostipite. Il ringraziamento finale al governo italiano (reo di dimenticarsi delle piccole realtà), detto con la naturalezza di chi sta leggendo la lista delle spesa, è un colpo ben assestato in faccia a tutti.
Elisa: 9,5. Lei sta lì, con la naturalezza di chi pare non sapere affatto quanto possa esser brava. Canta (e incanta) con quella stessa genuinità. Fa una gara a parte. È il Brasile degli ’70, in un girone in cui si ritrova a giocare contro El Salvador, Panama e Arabia Saudita.
Irama: 4. Ci vediamo anche il prossimo anno? Spero di no, dai.
Michele Bravi: 6,5. Il suo Sanremo è stato in crescendo. Bella canzone e la sua interpretazione è stata quasi sempre priva di sbavature, migliorando serata dopo serata.
La Rappresentante Di Lista: 8,5. Qui c’è tutto, ed è anche usato bene. Qui non c’è da parlare, ma solo da muovere le mani a tempo. Ciao ciao.
Emma: 3. Le serate sono state molto lunghe. Quindi vorrei ringraziare lei e la Michielin (che abbiamo scoperto in veste di direttrice d’orchestra, mecojoni) per avermi regalato le occasioni per la pausa pipì. A buon rendere.
Mahmood feat. Blanco: 6. Blanco è un talento pazzesco. La coppia con Mahmood funziona, ma non convince appieno. Non convince perché dovevano e potevano fare molto di più. Hanno vinto e non hanno rubato nulla, diciamolo. Il loro è un pezzo che sta già mangiando le classifiche. Però, conoscendo i due, poteva essere un pezzo potente. Di quelli che restano. Al momento non sembra essere così.
Higsnob feat. Hu: 7,5. Probabilmente gli artisti più interessanti di questa edizione del Festival.
Sangiovanni: 3. In molti mi avete fatto notare che non può essere insufficiente uno che ha fatto un successone come quello fatto con Malibù mesi fa. A questo punto occorre partire da un presupposto molto semplice: non basta azzeccare un pezzo per essere i Pink Floyd. Insomma, prendi Ranocchia: qualche settimana fa ha tirato fuori dal cappello un gol in mezza sforbiciata, ma resta comunque uno che con il pallone c’ha poco da spartire. Sangiovanni è Ranocchia, ma ho il netto sospetto che il secondo canterebbe assai meglio (come, del resto, anche il primo probabilmente starebbe meglio su un campo non meglio specificato). Tornando a Malibù, non è un capolavoro, ma semplicemente un pezzo che ci ha sfrantecato la uallera un’estate intera. Io non me ne vanterei. Il pezzo di Sanremo, invece? Mi mette voglia di scavalcare cancelli aperti.
Gianni Morandi: 7,5. È arrivato sul podio, ed è già un successone. Ha dato vitalità a un Festival per lunghi tratti clinicamente morto.
Rettore feat. Ditonellapiaga: 8,5. Non eravamo pronti a tutto ciò. Non ci saremmo mai aspettati che Ditonellapiaga potesse quasi eclissare la presenza della Rettore. È una delle cose più belle viste in quest’edizione del Festival e in tante altre prima.
Yuman: 5. Non lo so. Sul serio. Non lo so. Abbastanza anonimo.
Achille Lauro feat. Harlem Gospel Choir: 3. Solitamente, il bello e il brutto di Lauro è che almeno ti dà cose di cui parlare. Quest’anno è parso disinnescato. La canzone, beh, non era nemmeno un capolavoro assoluto, per usare un eufemismo.
Ana Mena: 2. Bene. È fatta. Mo’ tornano a sorbirsela gli amichetti spagnoli.
Tananai: 0. Se la simpatia ti desse automaticamente delle doti canore, Tananai varrebbe almeno Marvin Gaye. Invece niente. Orribile.
Giovanni Truppi: 8. Criticato dai più per la canottiera. Perché al Festival devi presentarti bene, dicono. Salvo poi stracciarsi le vesti per gente che su quel palco si presenta nei peggiori modi. Che poi è Sanremo, mica il catechismo, suvvia. Truppi si presenta al Festival da Giovanni Truppi. Il Giovanni Truppi che è sempre stato. È la cosa più rispettosa che potesse fare. E non era per nulla facile. Il pezzo è validissimo.
Le Vibrazioni: 6. Disinnescati anche loro, probabilmente da loro stessi. Era la quota rock (?), o almeno questa era la speranza. In realtà non sono stati la quota di niente. Non sono riusciti a superare la sufficienza né a sfociare nell’insufficienza (almeno ti fai notare, dici).
Amadeus: 4. Probabilmente è stato il suo ultimo Festival. Non ha brillato né per qualità degli artisti in gara né per intrattenimento (a parte con la Ferilli, idolo indiscusso). Si poteva fare meglio.