Un documento della polizia penitenziaria, annesso a un’indagine dei pubblici ministeri Francesco De Tommasi e Gianluca Prisco, solleva accuse di rapporti con la criminalità nei confronti dei rapper Marracash (Fabio Bartolo Rizzo) e Guè Pequeno (Cosimo Fini). Questo quanto riportato dal Fatto Quotidiano e ripreso da Open, in un articolo che parla dei due artisti “al servizio” del boss Nazzareno Calajò, noto come Nazza, senza essere direttamente coinvolti nelle indagini. Entrambi i rapper hanno inizialmente evitato di commentare pubblicamente le accuse, ma nelle ore seguenti sono arrivate le risposte alle testate.
Marracash e Guè Pequeno, i saluti a Nazza
Secondo Il Fatto Quotidiano, durante un concerto all’Ippodromo di San Siro a Milano il 10 luglio scorso, Guè Pequeno avrebbe salutato pubblicamente il boss Nazza, esclamando “Nazza libero! Free Nazza! Una mano su!“.
Allo stesso modo, Marracash, proprio come il collega Guè Pequeno, avrebbe rivolto un saluto a Nazzareno Calajò sul palco del Forum di Assago il 21 settembre, ringraziandolo apertamente: “Ci tengo a ringraziare la gente del mio quartiere venuta a queste serate. Mattia (Di Bella, alias Young Rame), Kalash (Alessandro Calaiò), Momo e soprattutto il grande zio Nazza. Un abbraccio!“. Open continua la narrazione: “E Luca Calajò invia tutto alla zia e alla moglie di Nazza: «Fai un video, lo zio che ringrazia Marracash, l’ha salutato davanti a tutti, fai fare un video allo zio»”. Nazzareno Calajò proprio a luglio si trovava in carcere con l’accusa di traffico di droga.
Gli esponenti della famiglia Calajò nei videoclip
Secondo quanto riferiscono le due testate, il documento della polizia penitenziaria evidenzia l’ostentazione del lusso, il denaro facile e l’esaltazione della violenza nei videoclip dei rapper come Marracash, Guè Pequeno e Young Rame. Si sottolinea che “la famiglia Calajò, dominante nel quartiere Barona, avrebbe ottenuto consenso dalla popolazione residente attraverso la partecipazione di esponenti della famiglia nei videoclip“.
Utilizzo della fama per il tornaconto del boss
La procura di Milano suggerisce che la fama e il successo di Marracash e Guè Pequeno possano essere sfruttati a vantaggio del boss, anche per professare la sua presunta innocenza. Gli investigatori affermano che la fama dei cantanti sarebbe stata utilizzata dal boss stesso, come dichiarato in intercettazioni.
“Altro che non servono a un ca**o i cantanti, i cantanti servono! Adesso m’hanno fatto una canzone per me Marra, Guè e lui (Young Rame). Compongono le canzoni per me! Hai capito?! Guè pure mi ha fatto una canzone ‘Il Tipo’“.
Marracash e Guè Pequeno: solidarietà tramite le magliette
I due articoli continuano la narrazione della nota, in cui la procura evidenzia anche la produzione di magliette con la scritta “Nazza libero” e “Verità per Nazza“, indossate da Marracash e Guè Pequeno nei videomessaggi sui social. Tali gesti di solidarietà, secondo l’accusa, avrebbero contribuito a promuovere l’immagine del boss. “All’inizio Marracash fa un po’ di resistenza, ma quando Nazza gli dà del “traditore” e dell’ “infame” lui la indossa”, riferisce Open.
Il rapper che gira alla banda gli incassi
Da un’intercettazione emergerebbe poi che anche un rapper non specificato gira alla banda il 10% degli incassi. “Servono ad affrontare le spese di detenzione”, sentenzia l’articolo.
Mentre Marracash e Guè Pequeno non sono attualmente oggetto di indagini, le loro connessioni e i gesti di solidarietà espressi nei confronti del boss Nazza continuano a sollevare gli interrogativi del Fatto Quotidiano. La procura di Milano sta approfondendo la questione, cercando di comprendere l’eventuale coinvolgimento dei rapper nelle attività della famiglia Calajò.
Marracash e Guè Pequeno rispondono pubblicamente
In queste ore, Marracash e Guè Pequeno hanno comunque risposto alle accuse provenienti dalle due testate.
Marracash ha risposto con 8 storie sul suo profilo Instagram:
“Rispondo a un grottesco e diffamante articolo di stamane de Il Fatto Quotidiano copia/incollato da Open e altre testate.
Non sono mai stato e mai sarò al servizio di nessuno. Non è la prima volta che parlo di questi fatti e di queste persone, anzi lo faccio più o meno da 20 anni nelle canzoni e nelle interviste. Ma è la prima volta che questa cosa viene utilizzata in questo nuovo clima di denuncia del nostro genere musicale.
Non ho mai inneggiato alla liberazione di criminali, mai detto “free Nazza dal palco”. Ho salutato una persona che conosco come uomo, da quando sono ragazzo.
Crescere nel mio quartiere mi ha fatto venire in contatto con realtà criminali, ma non mi ha mai impedito di essere una brava persona, né di non saper distinguere il bene dal male. Ha solo reso la mia visione della realtà più completa e il resoconto delle sue sfaccettature più realistico.
Il video di Infinite Love non è affatto un’ostentazione di ricchezza e violenza, ma l’esatto opposto. Nel video compaiono diversi pregiudicati e lo scopo è promuovere lunità e la fratellanza tra quartieri. Proprio per cessare le rivalità e descrivere il disagio di chi resta intrappolato in una certa vita.
Non sono mai stato costretto a indossare nessuna maglietta e infatti non l’ho indossata. L’articolo sostiene il contrario ma non pubblica la foto, proprio perché non esiste.
Il 10% di cui si parla nell’articolo è la percentuale che Young Rame versa al suo management, esattamente come fanno tutti gli artisti. Mattia tra l’altro è un bravo ragazzo, lavora e non ha pendenze con lo stato.
Non ho mai versato percentuali se non alle persone che lavorano alla mia musica con me.
Riassumendo. È davvero mortificante realizzare che in questo momento il genere musicale più popolare e più giovane in Italia sembra davvero essere sotto strategico attacco da parte di un certo tipo di istituzioni e di giornalismo. Generici attacchi ai testi dei cosiddetti “trapper”, decontestualizzati e spogliati della musica fino a renderli indifendibili. Poi le feste in piazza che saltano per una rilettura faziosa e ignorante di interpretazioni di realtà drammatiche che purtroppo esistono e che nel rap trovano voce nonché denuncia. Sarebbe occasione per l’apertura di dibattito e confronto con gli autori, invece vengono criminalizzati e scartati come spazzatura. Ulteriori occasioni perse per questo Paese di molte pance e poche teste.
Spero che le testate vogliano immediatamente modificare i titoli e gli articoli stessi. In ogni caso mi riservo di agire legalmente contro ogni tipo di diffamazione nei miei confronti“.
Guè Pequeno ha preferito affidare le sue riflessioni a un sarcastico tweet su X: “Il Babbo Quotidiano”.