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Bud Spencer Blues Explosion: un nome, un’eruzione

Lo scirocco non abbandona il lembo di terra che si affaccia sullo Stretto: in Via Crocerossa spira con vigore, nella prima serata del giorno proemiale di Primavera. Le scale che danno accesso alla terrazza in balia di uno dei soffi di Eolo sono sgombere di piedi ma riecheggiano di musica forte, decisa, senza timide mediazioni.

Una volta spinta la porta a vetri, dalla quale si intravedono due musici illuminati, chini sui propri strumenti come minatori operosi, un muro di suono si impossessa con diritto delle orecchie. Adriano Viterbini e Cesare Petulicchio stanno ultimando gli aggiustamenti al loro sound per il concerto che, da lì a poche ore, avrebbe generato un vortice denso di mani e piedi esultanti.

Quando tutte le manopole e i pezzi sono al posto giusto, i due scendono dal palco, e si accomodano silenziosi sugli sgabelli colorati di fronte bud spencer completia me: un tavolino alto, rotondo, separa i nostri visi, mentre la lustrinatura rossa della batteria, per effetto di un curioso gioco di luci, si riflette sulla copertina scarlatta del taccuino che tengo tra le dita.
Qualche sorriso, uno scambio rapido di nomi: mentre crackers sgranocchiano sotto i denti, consumiamo senza fretta il tempo per scambiare qualche battuta sul progetto che, dal 2007, portano nelle dita: stiamo parlando, ovviamente, di Bud Spencer Blues Explosion. Ed è proprio dalla terza parola di questo nome così ricco e spumeggiante che il nostro discorso riceve il La.

Nonostante esso sia oltremodo contaminato, tuttavia rimane sempre blues: in cosa può essere riscontrato? Qual è l’elemento imprescendibile del blues che è rimasto vivo nella vostra musica?
Sicuramente il forte carattere d’improvvisazione, che ci riporta a quel blues delle origini che vive per sé e può durare ore ed ore. Il gusto psichedelico è quello che sentiamo più vicino al nostro universo musicale personale: troviamo in questo un tipo di impronta naturale che, nella nostra formazione anomala di duo, ci permette di mischiare dei suoni e di realizzare un vero e proprio interplay tra chitarra e batteria, in un gioco sempre nuovo di fughe, che rende speciale e originale ogni riformulazione live del brano.

Ciò, senz’altro, incide con forza sulla composizione dei brani: come si fa a sembrare un plotone d’esecuzione, nonostante siate una coppia di carabinieri?
(Ridono) Beh, è proprio il modo di composizione a mutare: innanzitutto, dietro ogni brano c’è una ricerca sonora approfondita dei suoni e degli strumenti che compongono il nostro arsenale di musica. C’è decisamente un lavoro diverso. Ad esempio, il fatto di non avere un basso ci rende più liberi, soprattutto nell’improvvisazione, elemento cruciale della nostra musica. Tutto questo è legato al carattere d’espressione libero e senza ostacoli che ricerchiamo nel suonare. Si tratta di una forma di rispetto verso noi stessi e gli altri: cerchiamo di essere quanto più liberi possibili, ma allo stesso tempo contenuti, in modo tale che chi ci ascolta possa godere di quello che creiamo, senza stancarsene.

bud spencer faroA proposito di improvvisazione e di ricerca sonora: durante la vostra carriera tante sono state le cover che avete prodotto; qual è il piacere nel riarrangiare un brano? Cosa significa per voi?
Reinterpretare un brano significa capire il sound che si vuole raggiungere se a disposizione hai una chitarra e una batteria. Confrontarsi con un pezzo significa riscoprirne il background, intriso di richiami e riferimenti: significa andare a fondo nella conoscenza di quella sequenza e riportarla nelle proprie corde.

Con un sorriso di complicità si esauriscono le parole tra di noi: è tempo di cenare. Lascio i due giovani
rifocillarsi con le prelibatezze della nostra terra.
Poco meno di tre ore dopo, faccio di nuovo ingresso al Retronouveau: il vento e il cielo sono sempre gli stessi. A cambiare è la disponibilità di spazio, adesso quasi interamente satura di pubblico in attesa di quello stesso muro di suono da cui fui scossa precedentemente.
Sul palco, le luci di attivazione dei pedali giocano con i fasci bluastri che scendono dal soffitto, mentre cubitalmente sullo sfondo trionfa BSB3, in nero rilievo. Poi, il buio e il suono: si comincia.

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bud spencer adrianoSenza mezzi termini Adriano e Cesare scaraventano giù il silenzio con un crescendo di mallet e delay suggestivo, tra gli applausi generosi degli astanti. Alle loro spalle, paesaggi, vortici, numeri, incastri di immagini scorrono, mentre la percussione si plasma con la melodia. Con il piede, Adriano asseconda i ritmi di Cesare, e il suo Octaver si risveglia dal sonno, riportando in vita un suono apocalittico. Il suono nasce dal profondo e, duro e poliedrico, risale rimbombando con vigore. Non solo le pelli della batteria vibrano e risuonano: lo stesso tremolio metronomico si impadronisce della pelle del solito taccuino, mentre le orecchie godono di quel dinamismo sintonico.
I brani non concludono, non chiudono, non si esauriscono: scorrono in un perpetuo flusso in cui il dialogo è l’elemento imprescindibile. Il rullante profondo che sostituisce il tom dona uno squisito calore bollente alla musica, così come la cassa, amplificata da dentro, dà l’impressione che il battito sia catturato dal profondo.
Tra il vuoto illuminato ad intermittenza, Adriano poggia in equilibrio prima sulla gamba destra, poi sulla sinistra, lanciandosi in circonferenze sconnesse sulla moquette scura. La paletta della chitarra sfonda la distanza tra musicista e pubblico, e tutto si fonde ad alte temperature. Gli astanti si dilettano in moti oscillanti delle spalle mentre il carro armato sonoro avanza per tutta la sala, in lungo e in largo. La luce è tagliente sui piatti lucidi in movimenti trapezoidali differenti, e rimbalza sul sudore come la luna che si fa specchio nel mare.

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bud spencer pubblicoI cambi di tempo e modo sono suscettibili di ammirazione, ed è strabiliante come batteria e chitarra cavalchino con la medesima intensità. Sul finire del concerto, il Retronouveau non è più una sala concerti, ma un avamposto di danze frenetiche e decise, che hanno il medesimo carattere del Wah Wah di Adriano, alla cui gamba s’attorciglia in mille volute il jack, rampicante della musica: curato ed opportuno.
Tra gli applausi scroscianti, rientrano per altri tre brani: si lanciano in un blues evocativo, sognante, che sta a significare che si va via come si è venuti. Alla fine, una chiusura potente che gorgoglia profonda: Bud Spencer Blues Explosion.

Foto di Mauro Kuma

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