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ARTPOP, il ritorno tiepido di Lady Gaga

Quando vidi per la prima volta il video di Just Dance, nel lontano 2008 (ok, sono passati solo cinque anni, ma nel mondo della musica commerciale e dello star system contano più o meno come tre ere geologiche), capii subito che quella ragazza bruttina con la frangia bionda, il viso truccato à la Ziggy Stardust e un nome preso in prestito da un celebre brano dei Queen, aveva qualcosa in più rispetto alle altre wannabe che spuntano come funghi nel panorama del pop mondiale. Da allora, Lady Gaga è diventata una delle personalità più influenti, non solo nella scena musicale.

Il suo album di debutto, The Fame, era un piccolo capolavoro: mescolava sonorità raffinate al trash-pop di certa musica dell’Est europeo, tipica di eventi musicali come l’Eurovision Song Contest.  Seguito da The Fame Monster, ha portato l’artista al successo mondiale, grazie anche alle controversie causate dal suo look singolare, dai suoi video trasgressivi e dalle sue continue provocazioni.

Una volta raggiunto lo status di popstar, Stefani Germanotta (così all’anagrafe), ha pensato bene di cominciare a fare di testa sua, sperimentando fino al limite dell’avanguardia e fregandosene di seguire la deriva electro-house (se così possiamo chiamare quelle cose prodotte da David Guetta e will.i.am. che infestano i nostri timpani da qualche anno a questa parte) della musica pop.
Il risultato è Born This Way: pezzi dance anni ’90, sonorità dark e bizzarrie a non finire. Un altro capolavoro, nel suo genere.

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Due anni, un tour e qualche intervento chirurgico dopo, Lady Gaga è pronta a sfornare un altro lavoro. “Pop culture was in art, now art’s in pop culture, in me”, canta nel singolo-manifesto Applause, che ha anticipato l’uscita dell’album. Da qui sorge la domanda: ARTPOP sarà una sorta di rappresentazione musicale dell’arte di Andy Warhol, o semplicemente l’ennesima trovata pubblicitaria (con effetto supercazzola) di un’artista in crisi che sente la competizione con altre cantanti e non sa più cosa inventarsi?

A mio avviso, nessuna delle due cose (o entrambe). Innanzitutto, in ARTPOP non c’è nessuna avanguardia, tantomeno qualcosa di originale. I temi sono sempre quelli, sdoganati in primis da Madonna, che qui vengono presentati in coppia: l’esplorazione della sessualità (G.U.Y.Sexxx Dreams), il feticismo per la moda (Donatella, Fashion!), la droga (Mary Jane Holland, Dope). Anche nelle sonorità i prestiti sono evidenti: molto nell’album ricorda Flesh Tone di Kelis, la title-track somiglia a Love You Like A Love Song di Selena Gomez (oltre ad essere una delle più deboli dell’album), e la base electro di Donatella sembra un campionamento di Je Veux Te Voir di Yelle (per non parlare di Swine, che potrebbe benissimo essere un pezzo della nostrana Alexia). L’unica sperimentazione azzardata è quella del brano rap Jewels n’ Drugs (con T.I., Too Short e Twista), ma l’esperimento fallisce e la canzone è facilmente dimenticabile.

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Non mancano poi le strizzate d’occhio al pubblico più fedele della poliedrica artista: l’inno ai fan (Dope) e quello alla comunità LGBQT (MANiCURE e soprattutto Donatella, un omaggio alla stilista Versace che sarà presto il pezzo più ballato nei locali gay di tutto il mondo).

Detto questo, però, bisogna dare un giudizio oggettivo: ARTPOP è un bell’album di musica pop. Ci sono pezzi orecchiabili (Venus, Do What You Want) e sprazzi di genio (Aura e il bellissimo bridge di G.U.Y.), brani carichi (MANiCURE) ed emozionanti (Gypsy), motivetti irresistibili (un po’ tutto il resto tranne Jewels n’ Drugs).

Quello che non bisogna dimenticare, poi, è che Lady Gaga ha qualcosa in più di tutte quelle artiste con le quali viene spesso paragonata e contrapposta, a cominciare da MadonnaKaty Perry Britney Spears, e non è una cosa da poco: la voce, e in ARTPOP mette in mostra tutto il suo incredibile talento senza contraffazioni (gli splendidi live lo confermano). 

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In conclusione, ARTPOP non segnerà alcuna rivoluzione nel mondo della musica, anche se i fan più accaniti e la cantante stessa pensano il contrario, ma è un album che – nonostante la superficie sempre controversa e trasgressiva – si rivela rassicurante e gradevole, e proprio per questo sorprendente.

Voto: 7.5/10

 

 

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