Si risparmiano tonnellate di carta, vengono sgominate le possibilità di bagarinaggio, elimina le commissioni d’agenzia sui prezzi: a prima vista il biglietto non cartaceo (paperless ticket in inglese) sembrerebbe quanto di meglio possa offrire la tecnologia per migliorare l’organizzazione di un concerto.
Ma, a detta di moltissimi inglesi, tutto questo nasconde un rovescio della medaglia pesantissimo in fatto di servizi resi al consumatore.
Inghilterra, 2012: i Radiohead, da sempre attivissimi nel campo dell’ecosostenibilità di impianti e attrezzature (il loro merchandising è realizzato da bottiglie riciclate, per dirne una) scelgono di affidare il ticketing dei loro concerti in madrepatria ad un’agenzia (la Tickemaster), che venderà solo tagliandi paperless. Il mondo saluta gioiosamente la rivoluzione.
Qualche mese più tardi si raccolgono le testimonianze di chi c’era, e di botto il paperless sembra diventato un incubo, una bestia da eliminare subito, prima che cresca troppo.
Le principali accuse sono lo scarso controllo all’interno degli impianti, ma soprattutto l’effettiva impossibilità di cedere il tagliando, anche regalandolo, a chiunque: a chi non è mai capitato, in fondo, di trovarsi di fronte una riunione, un impegno improrogabile, una coda in autostrada, un figlio a letto con la febbre, una qualsiasi causa di forza maggiore tale da impedirvi di assistere all’evento? In questo caso Tickemaster non vede ragioni: impossibile cedere il biglietto, vendendolo anche allo stesso prezzo del rivenditore, impossibile anche regalarlo, poiché il nominativo non si può cambiare, difficilissimo ottenere il rimborso dall’agenzia (in alcuni casi succede, ma è questione di tempo e fortuna). E in più le commissioni ci sono e sono anche più pesanti di quelle dei vari rivenditori abituali: Tickemaster è leader del settore, unico ad offrire un servizio simile, Tickemaster può imporre le commissioni che vuole, semplice. Peccato che, in un modo o nell’altro, a farne le spese siano sempre i fan.