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“Costruire la musica per la vitalità”: Pfm e Vecchioni amici impareggiabili

pfm tuttiIl Palapentimele di Reggio Calabria brulica di voci e rumorii sparsi mentre il backliner cura l’accordatura degli strumenti a breve in azione. Il palco che sta di fronte gli astanti in attesa è minimalista, come se volesse preannunciare quella musica così bella che non necessita di orpelli e abiti suntuosi per essere più splendente. Essa basta a se stessa, a chi la fa, a chi la porta e a chi la ascolta.

Il penultimo giorno di Febbraio è, prevedibilmente, avvolto da nuvole cariche d’acqua; mentre si attende la musica si può sentire la pioggia che scende irrefrenabile sulla volta del palazzetto: non varia il tempo né muta d’intensità. Ma qualcosa di più interessante scosta questo pensiero dalla mente: d’improvviso, fumo, applausi e luci spente. È ora: si inizia.

pfm lucioI capelli bianchi, le rughe sul viso, ma nelle dita la stessa voglia di suonare: la PFM sale sul palco con il solito sorriso che indossa chi mangia la musica, chi è cresciuto a pane ed accordi, chi ha velato i propri occhi più e più volte di quella sublime varietà di armonie che nelle sue pieghe voluttuose possiede la Musa per eccellenza. Ripropongono del gustoso “suono del tempo”: i brani più belli, più veritieri, più illuminanti dei primi 5 album della Premiata Forneria Marconi scorrono nell’atmosfera rimbombata come pezzi di storia personale e colletiva. Nonostante l’acustica mutili le milioni di sfaccettature sonore che fuoriescono dalle articolazioni di quei musici d’eccellenza, niente può fermare il suono, il groove, che arrivano direttamente dal ginocchio semovente di Patrick Dijvas al mio, collegandosi in una rete senza filtri che solo le cose giuste tessono.

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Gli anni ’70 rivivono in quelle scivolate di suono mai meramente virtuosistiche: dietro c’è sentimento, sudore; c’è forza, forza incomprimibile che si scatena dalle mani e dai piedi di Franz Di Cioccio. L’età, il tempo, lo scorrere di essi non è d’ostacolo alla volontà ferrea di voler solo suonare suonare. Il violino si interseca alle tastiere in un abbraccio ballerino, mentre la chitarra accarezza quel calore indescrivibile come la luna nelle notti d’agosto: e la batteria arde scoppiettante, in una piramide di piatti, come il falò del 15. Il palco è culla di complicità: raggiunge il picco massimo quapfm vecchionindo vi fa ingresso, tra gli applausi scroscianti per la musica appena suonata e quella che verrà, Roberto Vecchioni. La sua voce è velluto: ma non è solo musica. Dialogo sincero con gli uomini in quanto tali, condotto con la semplicità dell’avere le mani in tasca, è il rapporto che il Professore instaura con il pubblico. Non canta soltanto, sostenuto dagli amici di una vita: racconta le sue canzoni, imbastendole di letteratura greca e maieutica. Ricorda ciò che lui e la PFM sono stati, in questo concerto antologico che ha un solo obiettivo: far capire che l’uomo e il pianeta Terra sono reciprocamente parti l’uno dell’altro, che egli possiede la possibilità di cambiare se stesso e il suolo su cui poggia i piedi. Il destino non esiste più: la morte non può nulla contro la vita, la vita così bella e così piena di meraviglie che il non essere non può sopprimere.

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pfm piramideBen tre ore passiamo in compagnia della musica intima, sviluppata in mille veli, sconvolgente che gli intelletti intrecciati di uomini degni di questo epiteto squadernano, instancabilmente: le energie non disertano, perché la voglia di suonare, di comunicare, di amare, come una madre il figlio, è troppo potente, e fermarla sarebbe un delitto. Nell’abbraccio spontaneo tra Roberto e Franz passa tutta la storia di un’amicizia avvolta con piacevolezza dalla musica: scherzano tra loro, sul palco, come se fossero a casa. Diviene facile lasciarsi trasportare da quei buoni sentimenti e farseli amici, quegli uomini uniti in un universo di bellezza.

L’ultima frase di Vecchioni prima di scendere dal palco e lasciare che la PFM emozioni, scateni, annienti il cuore di chi ascolta con i successi di sempre e riarrangiamenti speciali (per dirne una, Romeo e Giulietta soprannominata “la bella jam con Prokof’ev”)  proposti con energia e suprema bravura, ci fa sorridere nonostante sia spiacevole lasciare che le orecchie ritornino ai rumori e si privino di quella musica d’altri tempi, troppo difficile per la fretta assetata di quest’oggi obnubilato dal fare successo con pochissimo:

Non importa quanto tempo, ma con quanta luce dentro viviamo questo tempo.

Luce fisica ce n’era poca: eppure, quella musica ha illuminato e scaldato come il sole di mezzogiorno, che tra la nebbia filtra già.

pfm franz

Foto di Diletta Di Bartolo

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