La premessa iniziale di Mannarino prima dell’inizio del suo concerto arriva chiara e diretta.
Da solo, seduto di fronte al suo pubblico silenzioso che ascolta attentamente ogni parola.
Introduce la dimensione intima e raccolta del viaggio musicale che sta per portare in scena, e più in generale quella di uno spettacolo live in un contesto profondo ed esclusivo come quello teatrale, e lo fa parlando a voce bassa, lenta, come tra la confidenza di amici. Le parole non sono più un monito, un avvertimento, un rimprovero a priori a rispettare l’atmosfera sacra dello spettacolo, dell’arte e dell’artista, quanto un sincero condividere l’importanza della comunione tra pubblico e artista, in un equilibrio che purtroppo, nell’era dei telefoni onnipresenti, dei social distruttori, e delle nostre sempre più spudorate cattive abitudini, sta diventando cosa alquanto rara.
Lo spettacolo è la celebrazione del viaggio, del movimento, la dedica a tutti coloro i quali stanno viaggiando, verso nuove dimensioni, nuove terre, futuri nuovi, è l’abbraccio che Alessandro Mannarino regala e condivide con il pubblico. In una veste nuova e consapevole. Mannarino è lui stesso il capitano di un viaggio nuovo, e lo si vede, lo si avverte dalla sua nuova luce, dalla sua presenza matura sul palco, come di chi, come lui stesso ci fa capire, ne ha prese tante ed è rimasto in piedi, avendo avuto il coraggio di cambiare, e adesso onora la strada, quella davanti a se.
Insieme a Mannarino sul palco, degli strepitosi musicisti, cuochi alchimisti di una ricetta live fine ed elegante, ed allo stesso tempo forte, accesa, palpante.
Alessandro Chimenti alle chitarre, Renato Vecchio ai fiati, Nicolò Pagani al basso e contrabbasso, Daniele Leucci alle percussioni, Puccio Panettieri alla batteria, Seby Burgio al pianoforte e le tastiere, e Lavinia Mancusi, unica donna sul palco di Mannarino in questo tour, ai cori, al violino e tamburi.
Le tensione interpretativa è palpabile ed emozionante. Una bandiera nera sventola alta sul palco, le tonalità basse e scure danno il pathos, vibrano di lotta.
“Roma” e “Marylou” sembrano quasi sussurrate da un giovane Tom Waits senza sbavature alcoliche, “Babalù” suona come un canto ancestrale, aria di Africa. Lavinia Mancusi è una leonessa guerriera che fa vibrare la colonna vertebrale.
“L’impero”, “Al Monte”, “Le Stelle” e “Tevere Grand Hotel” compresi alcuni pezzi storici, tutto suona in una dimensione diversa, vasta, un contenitore emozionale sconfinato, dentro c’è il vento nuovo di Alessandro Mannarino, che attraversa terre e confini accarezzando suoni che rimandano ai deserti dei Calexico, alle montagne di Capossela, c’è il sud America, c’è l’aria fresca della notte di Roma, Mannarino è in viaggio, e non si fermerà più.
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Report e Foto di Antonio Triolo.
Ringraziamo Taiga Booking e Vivo Concerti per la professionalità, la disponibilità e la perfetta riuscita dell’evento.