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Sanremo 2017 e lo scontro generazionale che non c’è

È nato prima Sanremo o la polemica su Sanremo? Puntuali come ogni anno, le analisi socio-politico-demografiche sulla vittoria (e sulle sconfitte) riempiono salotti televisivi, pagine di giornale e,ormai da diversi anni, i feed dei social network.

Quest’anno, ad esempio, per alcuni ha vinto la modernità specchio di un’Italia che si riscopre giovane, mentre fino all’anno scorso avevano vinto i vecchi e l’anno prima i vecchi camuffati da giovani; per altri, invece, quest’anno sono state le vecchie glorie ad essere ingiustamente umiliate da giurie e televoto in favore di talenti effimeri usciti dai talent o famosi “grazie al web”. Entrambe queste analisi sono profondamente errate, e il motivo è più semplice di quanto sembri.

Innanzitutto, chi scrive pensa che queste analisi totalizzanti lascino sempre il tempo che trovano, figurarsi quando, come quest’anno, diventano delle letture forzate, create ad hoc da polemisti professionisti: sui talk show pomeridiani si sono susseguiti servizi e discussioni tutti incentrati sui vecchi contro i giovani, scatenati dalla presenza di artisti nuovi fra i big, soprattutto quelli usciti dai talent show – fenomeno ormai noto da almeno una decina d’anni ma a cui sembra non ci si abitui mai, figurarsi nell’edizione che ha visto Maria De Filippi alla co-conduzione.

© Ansa

A conti fatti, però, l’apocalisse talent non si è realizzata: escluso Lele, vincitore della sezione Nuove Proposte ed ex di Amici, chi veniva dai programmi televisivi non è nemmeno arrivato sul podio, cosa che non succedeva da tempo; d’altro canto, però, c’è stata la clamorosa eliminazione di alcuni big come Ron, Al Bano, e Gigi D’Alessio, questi ultimi due protagonisti di un lungo (e imbarazzante) siparietto a L’Arena di Massimo Giletti, tempio delle polemiche inutili e della caciara fine a sé stessa. Al Bano, che a dirla tutta nemmeno meritava l’eliminazione a confronto con altre canzoni rimaste in gara, si è lanciato in un j’accuse contro chi non rispetta il talento vero e l’esperienza e fa vincere “canzonette”, elevandosi a gigante della musica e facendosi forza del supporto di pubblico e opinionisti, che forse non ricordano cos’è veramente la carriera di Al Bano: una grandissima voce apprezzata internazionalmente, ma pochi pezzi di qualità e un successo perlopiù basato su canzoncine musicalmente imbarazzanti cantate con Romina Power.
Il discorso non è diverso per D’Alessio: se la prende con la giuria di esperti non formata interamente da esperti del settore, che sarebbe pure una polemica legittima, se non fosse per il fatto che se la prenda in particolare col presidente di giuria, il leggendario produttore Giorgio Moroder, colpevole di non capire e apprezzare il suo genere di musica perché lui è un esperto di dance. Sì, avete letto bene. Resta il fatto che il mitico Giggi è convinto che una giuria formata da soli musicisti l’avrebbe avvantaggiato. Ecco, appena avrete smesso di ridere potete proseguire con la lettura.

Ciò che irrita di tutti questi discorsi è che sembra si ignori del tutto la realtà dei fatti, e cioè chi alla fine è arrivato davvero su quel podio: non solo l’esperienza quarantennale di Fiorella Mannoia, ma due trentenni che di gavetta ne hanno fatta parecchia. Il vincitore, Francesco Gabbani, firma il primo contratto discografico a 18 anni, ma fino all’anno scorso pensava di mollare la carriera nella musica perché – in un’industria dominata da ventenni – non era ancora riuscito a sfondare; il terzo classificato Ermal Meta, invece, a cantare ha iniziato a 16 anni e, dopo aver fallito diverse volte il tentativo di farsi conoscere dal grande pubblico, ha scelto una strada che per anni l’ha portato quasi all’anonimato, quella dell’autore di canzoni. Entrambi hanno scelto una via tradizionale per approdare fra i big, ovvero passare per le Nuove Proposte: Gabbani vinse, Meta arrivò terzo, esattamente come quest’anno. È vero che entrambi rappresentano un nuovo modo di fare musica, lontano dalle sonorità dei big eliminati, ma non scimmiottano le tendenze anglofone come hanno fatto (in modo pessimo), ad esempio, Alessio BernabeiLodovica Comello; il loro, invece, è un modo di rielaborare la tradizione della canzone italiana per farla arrivare, finalmente, al 21esimo secolo. Le giurie e il televoto sembrano aver capito questo, almeno in parte, ma i cantanti amareggiati dalla sconfitta e i loro fan forse non ancora.

Davanti alla realtà, tutte le analisi sembrano vane e inesatte, ma io ne azzarderei una: forse le persone non votano l’età, la provenienza, l’esperienza o la mancanza di tale, ma più semplicemente la canzone.

Leggi anche: le pagelle di Sanremo 2017 a cura di Adriano Costantino

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