Nel mondo sono accadute un’infinità di cose. Millemila libri sono stati scritti, millemila armonie e melodie sono state composte, miliardi di persone si sono amate, orde di bambini hanno aperto festanti i loro regali di Natale, maree di donne hanno accolto la vita in loro, triliardi di “vaffanculo” sono stati detti. Eppure, cosa ne è rimasto? Con immensa fatica l’uomo riesce a conservare i passi della sua vita, degli uomini che l’hanno preceduto, del mondo che, fino a quel momento, ha girato e rigirato. Perché il nuovo è sempre più fresco e affascinante del vecchio; ma, sfortunatamente, meno saggio. E quindi, il nostro caro essere umano si trova, dai tempi del cucco, come si suol dire, a oscillare tra buoni propositi e cattive azioni, tra un tempo che è stato e uno che verrà, tra un esempio misurato e provato e l’ebrezza colma d’adrenalina del nuovo evento. Eppure, nonostante tutto, con lo scorrere inarrivabile della sabbia nella lucente clessidra, il nostro uomo sembra aver afferrato un barlume di sapienza su come si conduca la vita. Dopo aver sperimentato tutto, dopo essersi infaustamente schiantato al suolo, dopo aver assaporato la polvere del fondo, finalmente si rialza. E capisce che, in fin dei conti, in media stat virtus.
È questo il cammino che hanno tracciato, nella loro vita di uomini, i Red Hot Chili Peppers. Erano gli anni ’80, e adesso sono i decenni del nuovo millennio. Vicini e lontani, passati e rimasti, sono sempre loro. Gli storici Anthony Kiedis, Michael Balzary (in arte Flea), Chad Smith; e poi, Hillel Slovak, John Anthony Frusciante, Dave Navarro, Josh Klinghoffer. E, prima e tra di loro, tanti altri, di cui la storia non si è molto occupata (ma di cui tanto si parla nell’autobiografia di Kiedis, “Scar Tissue“).
Album su Album, singoli su singoli, lavori solisti, litigate, tour impossibili, fans da tutto il mondo, mangiate di “gruppo”, abbracci senza sosta, donne, nottate di registrazioni, droga. E la soddisfazione di poter dire “ne siamo usciti, insieme”. Da quell’alba in cui Anthony salvò John dal rogo che porta ancora oggi sulle braccia. Da quella volta in cui una voce amica diceva: “puoi uscirne, ce la puoi fare, ci sono io”. Da quell’altra in cui: “che cazzo Anthony, le prove sono le prove, e tu hai il cazzo di dovere di venire!”. E quindi, fuori e dentro, oggi e domani, l’ansia di ieri e il respiro puro e tranquillo del presente, le cadute rovinose, l’alba del risveglio.
Ho fatto della discografia dei Peppers il mio modello musicale; ho ricalcato a forti passi i loro dolori, le loro gioie, i loro successi e insuccessi. Mi sono commossa, ho riso, ho riflettuto. Da quando mio fratello, a 10 anni, mi fece ascoltare “By the way”, ho scandagliato la loro produzione musicale e umana. Ho sognato il sound di Frusciante; cerco, ancora oggi, di raccoglierne l’eredità nel mio modo di suonare; ho conservato in un angolo del mio cuore e della mia testa il funky, il rock melodico, la forza di una voce calda, il ritmo di un grande battito, il groove di corde spesse. Ho diretto le vele della “navicella del mio ingegno” verso le emozioni, i sentimenti, i casi della vita da loro illustrati. Ho amato e ho odiato i Red Hot. Li ho assimillati, li ho abbandonati, e poi, li conservati per sempre nella mia pelle. Ho letto Scar Tissue una volta sola, ma ho elevato a monito alcune parti di quell’immenso libro, che non è solo il racconto della vita di una persona e del gruppo in cui suona, ma un analisi accurata degli anni vissuti, visti sotto il profilo sociale, economico, culturale, umano. Ho trovato la forza di esprimere me stessa.
Non ho nient’altro da dire, in merito, se non: qui c’è la discografia; vivetela. Non ve ne pentirete. Parola di scout, quale non sono.
http://it.wikipedia.org/wiki/Discografia_dei_Red_Hot_Chili_Peppers
Devi accedere per postare un commento.