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Magic in the moonlight: il trucchetto di Woody Allen che non funziona

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Un prestigiatore di fama mondiale (Colin Firth) viene scomodato dalla sua tournee di magia per smascherare una sedicente sensitiva (Emma Stone) che specula sui ricordi di una ricca vedova della costa azzurra.

seduta magic in the moolightIl momento dell’anno in cui Woody Allen viene proiettato nelle sale è arrivato, ormai è cadenzale come la sagra della “pitta ‘mpigliata” a San Giovanni in Fiore; e come ogni anno ci si ritrova al botteghino, immersi tra mille altre facce dubbiose ma rassegnate:   “ È Allen, va visto”. Con la stessa rassegnazione i tipici titoli di testa su sfondo nero si susseguono a base di swing anni’30, e subito ci ritrova catapultati nel mondo di Woody. Colin Firth, nei panni di una posatissima Miss Marple, indaga sulle buone intenzioni dell’avvenente negromante mentre lancia visioni metafisico-pessimistiche sulla vita e sull’aldilà con tanta di quella retorica che per levarla via dai vestiti due flaconi di Vanish non basteranno.

 Il deus ex machina non si fa desiderare molto ed ecco che il nostro cinico eroe ritratta ogni sua convinzione (frutto di un lunghissimo percorso di riflessione a base di Elefanti che spariscono e vallette infortunate) : la presunta bugiarda incallita narra di storie sordide tra la zia di lui e un membro del parlamento inglese, particolari di cui nessuno poteva sapere; il fattaccio in stile Lewinsky lo fa ricredere ed è subito amore per la cerbiatta che parla con i morti. Nel punto più alto della sua crisi mistica, però, un ulteriore arcano svelato lo riporta nel suo antro di misantropia e ferrea logica: l’amico-collega che aveva richiesto la sua consulenza è in combutta con l’amata.  L’inganno è riuscito ma questa consapevolezza non riesce a cancellare il profondo amore maturato nel giro di qualche giorno.

Bacio magic in the moonlightQuesto come altri film di Woody Allen è il perfetto corollario alla teoria secondo cui una volta conquistata una certa fama ci sia adagia sugli allori mentre si abusa di un’autorità riconosciuta (a buon ragione) propinando sceneggiati dalla dubbia qualità, dimentichi di quel rispetto per l’arte e per i suoi fruitori che dovrebbe essere alla base di ogni singolo prodotto artistico. Una trama che non si intreccia, dialoghi ridondanti che richiamano una continua e indissolubile autocelebrazione, una sceneggiatura piena di buchi e in certi punti frettolosa fanno di questo film uno dei peggiori del regista. Nemmeno l’ammirevole cura dei costumi (ad opera di una sempre più brava Sonia Grande) o la meravigliosa visione di Emma Stone riescono a farne qualcosa di facilmente godibile se non intellettualmente stimolante. Un’opera da teatro di rivista, insomma, ma con più pretenziosità e senza Soubrette (eccettuata la zia inglese adulterina che risolve tutto con il cognac). Lo spiritismo, molto in voga in quegli anni,  viene messo in secondo piano e ridicolizzato fino all’inverosimile; si sarebbe potuta creare un’aura misterica e ordire un inganno anche nei confronti del pubblico per rendere il tutto più partecipativo, ma i dialoghi a base di un’ironia troppo insistita (che annaspa nel suo voler essere English Humour) e una composizione delle scene troppo forzata hanno avuto la meglio, creando disagio e disorientamento.

Quest’anno dal cilindro di Allen è spuntato un coniglio che poi era una colomba che poi era una gallina, la monetina nel polsino della camicia era troppo visibile, ma almeno tutti coloro che hanno pagato per vedere Magic in the moolight hanno contribuito ai regali di natale per i suoi cari e per un sostanzioso tacchino, se ci scappa.

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